LA TEMPESTA
Quanti decenni della nostra storia abbiamo perso nella convinzione che il mondo andasse suddiviso tra padroni e lavoratori schiavizzati? E quanto tempo abbiamo perso nella convinzione che il mercato fosse l’unico dio, infallibilmente giusto e onnipotente, capace di dare al mondo un ordine supremo?
Qualche giorno fa sono andato a trovare un imprenditore in difficoltà, titolare di un’azienda attiva da decenni nel settore edilizio. È un’azienda in qualche modo legata ai miei ricordi d’infanzia, anche se può sembrare strano che cemento e betoniere rievochino nostalgie di un vissuto lontano. Gli affari dell’azienda vanno molto male. Da quando quel comparto trainante dell’economia del nord est della Sardegna è entrato in una fisiologica crisi, una crisi probabilmente senza uscita, le esposizioni bancarie sono cresciute e la situazione appare disperata. Il titolare vorrebbe cedere le aree, liberarsene. Ha anche dei contatti con possibili acquirenti, i quali rinnovano regolarmente il loro interesse per l’affare ma temporeggiano, probabilmente in attesa di trovare condizioni economiche più favorevoli. Fagociteranno, ma alle loro condizioni. L’azienda ha ancora quattro dipendenti, ultimi reduci di una forza lavoro una volta numerosa. “Come fai a pagarli?”, ho chiesto. Ed è stato al momento della risposta che ho sentito la voce del mio interlocutore incrinarsi, spezzata dalla commozione. I dipendenti ricevono lo stipendio sempre in ritardo, ritardi sempre maggiori. Ma non si lamentano, non invocano la lotta di classe, non scendono in piazza contro il padrone. Lavorano in quell’azienda da anni ed è una parte fondamentale della loro vita. C’è qualcosa di più grande del pur indispensabile stipendio, nel loro tentativo di insistere e nella loro determinazione a non arrendersi. Quell’azienda ha permesso loro di lavorare per decenni e di portare il pane a casa tutti i giorni, non sarebbe giusto rinnegare tutto cercando delle colpe all’inesorabilità di un certo corso della storia. Sanno che il titolare colpe non ne ha: non si è avventurato in investimenti folli, non ha dilapidato fortune sottraendole alla ditta. Anzi, ha cercato di tener duro quando sarebbe stato più facile alzare bandiera bianca e ammettere il fallimento, nella speranza di salvare qualcosa. Non ci sono due fronti diversi, in quella crisi. C’è solo gente che, dalle rispettive posizioni, cerca di trattenere il respiro per non affogare, travolto dalla piena della crisi e di un mercato spietato. Dividersi, quando si è in mezzo alla tempesta, serve a poco. Trovare un responsabile della tempesta, ancor meno.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo e-book "Cosa conta".
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