Diciamocela tutta e fino in fondo: la stragrande parte di questa rabbiosa offensiva contro l’importazione di poche gocce di olio tunisino non nasce da una reale conoscenza del problema o da preoccupazioni motivate dai fatti. No, è che per un certo standard di italiano i tunisini sono africani, quindi brutti, sporchi e cattivi, e figuriamoci se capaci di produrre olio decente.
È quell’italiano che acquista ogni possibile schifezza al discount, purché costi poco, senza leggere mai un’etichetta e, quando la legge, non sempre la capisce: figuriamoci se si è informato sull’olio tunisino. Quell’italiano non sa che la nostra produzione interna non è sufficiente neppure lontanamente a soddisfare il fabbisogno nazionale e la quantità di olio importata è una percentuale irrisoria rispetto alla produzione europea. Quell’italiano fiero del Made in Italy che conquista il mondo, ma oltre uno stantio orgoglio nazionale non sa andare: mai mettersi nei panni di chi parla una lingua diversa. Impossibile, per quell’italiano, che un egiziano possa sfornare un’ottima pizza o che un cuoco marocchino sappia cucinare la pasta (eppure io la migliore puttanesca della mia vita l’ho mangiata da un ristoratore che si chiama Jamel).
Non è un problema di qualità del cibo e della vita. È xenofobia nella sua declinazione mercantile. Avete sentito, voi, dichiarazioni di politici sardi per l’apertura del McDonald’s a Nuoro? Certo, per aprire un fast food a Nuoro non è necessario un voto del Parlamento europeo ma una semplice licenza comunale e, d’altro canto, qualcuno potrebbe osservare che il panino con l’hamburger non concorre con alcun prodotto della nostra economia, come invece accade per l’olio.
Invece no. Quanti panini in meno – magari imbottiti con prosciutto di Fonni – venderanno i bar gestiti da nuoresi per la concorrenza del fast food americano con personale part time? E se il problema fosse la qualità del cibo, non ci sarebbe qualcosa da eccepire su patatine e panini precotti arrivati da non so dove? Invece no, perché loro sono ‘mmerigani, sono fighi e le loro star del cinema ci spiegano come dobbiamo vivere, mica sono tunisini sporchi, brutti e cattivi!
Dovremmo opporci ad ogni importazione, ad ascoltare i nuovi fautori del protezionismo. Molti dei quali sono gli stessi che, un tempo, erano seguaci del liberismo senza vincoli delle nuove destre, salvo poi ripensarci quando c’è da far sentire a certa gente quel che vuole sentire. E cioè che ha il diritto di lavorare senza concorrenza. Ma non funziona così e ragionare in questo modo non ha senso: se McDonald’s ha aperto a Nuoro è perché, evidentemente, la piazza era favorevole. Se ci inorgoglisce vedere il pomodoro di Capoterra nei mercati di Londra e i vermentini di Gallura nelle enoteche giapponesi, dobbiamo anche accettare che per lo stesso principio altri cerchino di piazzare i loro prodotti sugli scaffali dei nostri market. Nessuno è obbligato ad acquistare l’olio tunisino, basta che le etichette siano chiare sulla provenienza e che le si legga correttamente. Alla fine deciderà, come sempre, il mercato.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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