Le motivazioni favorevoli alla permanenza dei poligoni militari in Sardegna, si basano anche su alcune cifre.Si sostiene che vi sono 10.000 buste paga militari, in Sardegna, che verrebbero a mancare nel caso dovessero chiudere i poligoni, e che, tutto sommato, esse valgono la pena di sacrificare il 4 % delle coste e lo 0,5 per cento del territorio. Il caso di La Maddalena, con la crisi economica successiva alla chiusura della base per sommergibili nucleari Usa, lo dimostrerebbe. Tra le motivazioni addotte, vi sono poi irrinunciabili esigenze della difesa nazionale in un momento particolarmente delicato di crisi internazionali. Il ricatto delle buste paga è un vecchio metodo quando si vuole imporre sulla popolazione una attività che procura danni all’ambiente e alla salute delle persone. Secondo questo ricatto, occorre essere riconoscenti delle 10.000 buste paga militari, che verrebbero a mancare nel caso di dismissione dei poligoni. I militari in Italia sono 174 mila circa, senza considerare carabinieri e finanzieri. Quindi la Sardegna, che sostiene il 60 % peso territoriale delle servitù, gode di un piccola percentuale delle buste paga militari, circa il 7%. Offriamo il 60% del territorio e godiamo del 7% delle buste paga. Quindi il paradosso è che vi sono regioni d’Italia, senza poligoni militari, che godono persino di un maggior numero di buste paga. Chiaro che le 10.000 buste paga militari in Sardegna sono la dislocazione minima, persino sottodimensionata rispetto al resto d’Italia, che si può mettere in relazione alla presenza dei poligoni solo sotto forma di vile ricatto. Per converso, il fattore “busta paga” è un elemento disaggregato che da solo non può descrivere lo sviluppo di una zona. Molto più generale e significativo il dato relativo allo spopolamento dei comuni che ospitano le servitù militari, sintomo di un chiaro sottosviluppo economico. Teulada è un paese dimezzato. Dalla nascita del poligono, infatti, avvenuta negli anni ’60, il paese che offre una parte rilevante delle sue coste alle servitù militari, ha subito un crollo demografico, passando dai 5742 abitanti del censimento del 1961 ai 3773 del 2011. Considerevole il fatto che questo dato è in controtendenza rispetto agli altri comuni costieri dell’isola, ed in particolare ai due comuni costieri limitrofi, S.Anna Arresi e Domusdemaria, che invece sono in netta crescita demografica. Arbus, il paese dove ricade il poligono di Capo Frasca, è il quarto paese per estensione della Sardegna, 267 Km2, con un lunghissimo tratto costiero. Il poligono di Capo Frasca prende una fetta importante di territorio, l’intera penisola della Piana di Santadi. L’esposizione ai venti dominanti ha conferito, al lungo tratto di costa che rimane libera dalla servitù, una caratteristica che lo rende unico e stupendo: in diverse località, ma in particolare a Piscinas, si sono formate delle gigantesche dune di sabbia, alte svariate decine di metri, che nell’entroterra si ricoprono di ginepri e altre essenze della macchia mediterranea. Un paesaggio di rara bellezza che forma un unico compendio con l’immediato entroterra dove, oltre ai bei boschi dove spicca la presenza dell’endemico cervo sardo, vi sono significative testimonianze della storia mineraria dell’isola. Arbus, inoltre, è rinomata per l’abilità dei suoi artigiani, in particolare per la coltelleria. E nonostante questo patrimonio e queste risorse il paese, che ha subito, a partire dagli anni ’60, il crollo dell’industria mineraria, non si è ripresa con il poligono nato negli anni ’80. Anzi: il crollo demografico si è fatto ancora più evidente e la presenza del poligono non è servita a cambiare le sorti del progressivo spopolamento, passando dai circa 8000 abitanti negli anni ’80 ai 6500 di oggi. Dall’altra parte dell’isola, Murtas è una spiaggia sabbiosa e candida di 6 km di lunghezza, che si trova nel comune di Villaputzu. Bellissima spiaggia ma con un problema. Fa parte del Poligono Interforze del Salto di Quirra. Quasi metà del territorio comunale appartiene al Poligono, che però ha sede con una grande base militare in un altro comune, a Perdasdefogu. Inutile dire che Villaputzu è l’unico comune della costa sud-orientale che non ha avuto un impulso demografico. Il paese è cresciuto dai 3851 abitanti del 1951 fino ai 4754 abitanti del censimento del 1961, quando ha smesso di crescere, rimanendo praticamente stabile fino ai giorni nostri. Non pare affatto una coincidenza che il Poligono sia nato proprio in quegli anni. Per fare un paragone, il vicino comune di Muravera, che presenta caratteristiche territoriali e geografiche molto simili, è passato da 4032 a 5162 abitanti dal 1961 al 2011. Ma oltre lo spopolamento di questi comuni, anche i dati relativi al reddito pro-capite, analizzati da Fernando Codonesu (2013) nel suo libro “Servitù militari modello di sviluppo e sovranità in Sardegna”, sono concordanti, manifestando una tendenza al ribasso dove sono presenti i poligoni militari. Perdasdefogu offre una parte del suo territorio al poligono, ma beneficia di quell’indotto degli 800 militari presenti. Poligono che offre anche lavoro per impiegati, imprese di pulizia e altro. Tuttavia, la presenza dei militari non ha impedito al paese di soffrire di una grave forma di spopolamento a partire dagli anni ‘70. In effetti, occorre dire anche che il reddito pro-capite degli abitanti di Perdasdefogu è superiore alla media del reddito ogliastrino (Codonesu, 2013). Perdasdefogu è diventato un paese interamente dipendente dalla base militare, non essendovi altri comparti economici di rilievo, con una perdita verosimile dei saperi locali. Un ridimensionamento della base, provocherebbe una crisi inevitabile. Il caso di La Maddalena è emblematico da questo punto di vista. I sostenitori del SI ai poligoni militari in Sardegna lo evidenziano come la dimostrazione del benessere perduto con la chiusura della base. In realtà le cose non stanno proprio così. La Maddalena, com’è noto, ha un territorio comunale di una bellezza insuperabile. Tuttavia non ha mai sviluppato una fiorente cultura imprenditoriale turistica perché la sua economia storica e tradizionale si è basata sulla presenza delle marinerie militari italiane e americane. Se analizziamo i dati demografici, noteremo che, a fronte di uno sviluppo costiero notevolissimo e una spiccatissima vocazione turistica, il confronto storico demografico con gli altri paesi della Gallura, l’area che negli ultimi decenni nell’isola ha avuto un forte sviluppo, è perdente. Nel censimento del 1961 la Maddalena aveva 11.169 abitanti, al censimento del 2011 ne sono risultati 10.936. Olbia nel 1961 ne aveva 17.779, ora ne ha 53.307. Arzachena nello stesso periodo è passata da 6.157 a 11.447; Palau da 1750 a 3772; Santa Teresa Gallura da 2840 a 5018. Pur in considerazione della limitatezza dello spazio e dell’isolamento dell’arcipelago, è evidente che l’economia basata sulle buste paga e sull’indotto della presenza militare ha rappresentato non un motivo di benessere, ma di blocco dello sviluppo. Tutto questo benessere portato dall’economia militare non si spiega affatto con i dati demografici. Riconvertire una intera economia non è facile, ma siamo convinti che La Maddalena ha tali prerogative economiche che, con il tempo, sviluppando una cultura imprenditoriale e turistica, troverà la sua strada verso lo sviluppo. Giova ricordare che, inizialmente, all’arcipelago maddalenino, che tanto aveva dato per la difesa della nazione, era stato promesso un grande investimento per l’organizzazione del G8 che, tra le altre cose, serviva a risanare ambienti degradati dalla presenza dei militari. La storia è nota, con il dirottamento del presidente del consiglio Berlusconi per le ragioni propagandistiche che si conoscono. Una storia, questa dei finanziamenti per La Maddalena, che grida vendetta: soldi spariti nel nulla, ingoiati dai vari “amici degli amici”, discariche inquinanti finite in mare, inchieste giudiziarie, fino al disimpegno dello Stato. Ecco, le motivazioni di una mancata riconversione dell’economia maddalenina, e dell’attuale disagio, lo si deve molto a quelle vicende. Ma veniamo dunque al dato geografico, in particolare sulla percentuale minima di servitù militari e sul quel 4 per cento di territorio costiero. Detto così, sul piano statistico, sembra poca cosa. Pensiamo però a quelle centinaia di agricoltori, pastori, pescatori alla quale è stato negato il proprio terreno e il proprio futuro. Pensiamo ai mancati imprenditori turistici. Pensiamo agli emigrati. Pensiamo ancora agli ammalati di tumore delle zone limitrofe. Ma se anche volessimo restare nel campo della statistica, con un semplice calcolo del valore monetario di mercato di quel “4%” di coste e del loro entroterra, ci renderemo conto che si tratterebbe di una valore enorme. Per non pensare del corrispettivo in valore monetario per indennizzare il mancato sviluppo delle aree limitrofe, il rischio per la salute delle persone, i danni all’immagine turistica e al settore dell’agroalimentare. Credo che se un arbitrato legale dovesse rendere conto di un corrispettivo in valore di quel 4%, si raggiungerebbero cifre enormi. Per cui, quello che può sembrare un piccolo numero, in una situazione economica che va in tilt con un punto di percentuale in meno del PIL, in realtà non lo è per nulla. Per converso, si potrebbe rovesciare il ragionamento. Se il 4% di terreno costiero è poco, perché non suddividerlo con le altre regioni italiane? E’ evidente che le motivazioni dei favorevoli al mantenimento delle basi militari in Sardegna, non reggono alla prova dei conti e dei fatti. Si è anche detto che in questo particolare momento di crisi internazionale parlare di dismissioni della basi militari è inopportuno. Questo è un argomento che ha delle implicazioni profonde e che, ad essere onesti, porrebbe tutti noi di fronte a delle forti contraddizioni. Come il far finta di non appartenere a quella parte di mondo che, grazie allo strapotere militare e allo sfruttamento degli altri paesi e in particolare dell’altrui petrolio, ha fondato la propria ricchezza. Tuttavia, proprio perché questo è un sistema di sopraffazione e sfruttamento, è bene non esserne protagonisti come regione tra le più militarizzate della Nato. E’ bene che, oltre alla normale ricerca della giustizia e dell’equilibrio di una regione che si accolla il peso militare più gravoso della nazione, senza averne i benefici, vi sia anche una tensione verso la consapevolezza di ciò che di ingiusto accade nel mondo.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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