Ha ragione, chi ritiene gli stranieri i primi responsabili delle violenze sulle donne. Basta dare un’occhiata alle cronache degli ultimi due decenni per essere costretti ad ammettere che Feltri e Belpietro dicono bene, perché il serial killer che ha ucciso più donne è uno straniero. La storia che sto per raccontarvi inizia nel 1994 a Burnhaupt-le-haut, Alsazia francese, a pochi chilometri dal confine tedesco. Nei primi mesi di quell’anno, nella stessa via, muoiono due anziane signore. Entrambe di notte, entrambe nel sonno. Si chiamano Marie Winterholer e Ernestine Mang e il loro decesso viene archiviato fatto naturale, anche se una sorella della Winterholer aveva denunciato la presenza di un ladro in casa la notte stessa del decesso della famiiare. Circostanza ritenuta del tutto casuale dalla polizia. Senonché, nel mese di aprile dello stesso anno, nello stesso centro alsaziano, finisce nella notte anche la vita di Augusta Wassmer: anziana, viveva da sola anche lei, come Marie ed Ernestine. In questo caso, però, i parenti della defunta non si lasciano convincere dalla più semplice della spiegazioni, cioè che la morte sia avvenuta per una crisi cardiaca: la casa è in disordine e la posizione nel letto della donna è anomala. Però non emergono elementi sufficienti per aprire un’indagine per omicidio e i dubbi, almeno quelli ufficiali, finiscono con il funerale di Augusta. Non succede nulla fino al 2006, dodici anni dopo le tre morti a Burnhaupt-le-haut. Sono passati tre anni da quanto Pierre Keller – un disoccupato di Wittenheim, non distante da Burnhaupt – aveva denunciato alla polizia il fratello Yvan, accusandolo di una serie di omicidi. L’inchiesta era andata avanti lentamente, anche perché si riteneva poco credibile la testimonianza di Pierre. Lentamente, ma gli accertamenti procedono. Yvan Keller fa il giardiniere paesaggista e lavora presso diverse residenze proprio nel circondario di Mulhouse, la cittadina ai confini con la Germania sede della questura che ha la competenza territoriale sui fatti di Burnhaupt-le-haut. Scavando nella sua vita, gli investigatori trovano una condanna per rapina a mano armata risalente al 1981, quando era appena ventunenne, che gli costò otto anni di galera. Poi più nulla. Però, andando più a fondo, emerge anche che Yvan Keller aveva lavorato presso la casa delle tre anziane trovate morte nel 1994. Ad una di queste era stato sottratto il bancomat, presumibilmente la stessa notte della sua morte. Le telecamere a circuito chiuso della banca avevano filmato, sia pure di spalle; l’uomo che aveva prelevato contante usando il bancomat rubato: un biondino di mezza statura, proprio come Keller. Partono anche gli accertamenti fiscali. Yvan guadagna una somma mensile modesta, ma si permette fine settimana in alberghi parigini a cinque stelle e vacanze ai Caraibi. A quel punto, è il settembre del 2006, viene convocato in Procura, a Mulhouse.
Confessa tutto, dopo qualche resistenza. Ha ucciso lui Marie Winterholer, Ernestine Mang e Augusta Wassmer, ma è responsabile anche della morte di un numero imprecisato di altre anziane in Francia, forse anche oltre i confini nazionali. Lui dice centocinquanta, ammazzate sempre nello stesso modo: soffocandole con un cuscino pigiato sulla testa. Le conosceva per il suo lavoro e, quando le vedeva sole e indifese, cercava di entrare in confidenza con loro. Studiava le case e poi, facendosi aiutare da un complice che lo attendeva in auto a debita distanza, vi penetrava di notte alla ricerca del denaro contante che generalmente i vecchi tengono nascosto. Se la donna si svegliava, questo disse al giudice, lui le saltava addosso e le toglieva il respiro col cuscino. Data l’età avanzata e la sua cura nel rimettere in ordine le case, quasi sempre la morte non destava sospetti e veniva archiviata come naturale. Yvan Keller confessa e fornisce una serie di elementi che tolgono ogni dubbio alla attendibilità della sua versione. Ma ad un certo punto si ferma: chiede garanzie a tutela della sua compagna e di essere incarcerato in una cella d’isolamento. Il giudice prende tempo, cerca un accordo difficile e con vaghe rassicurazioni tenta inutilmente di far parlare ancora il serial killer. Fino a quando, in una pausa degli interrogatori, Yvan Keller si impicca alla cella dove era tenuto in custodia usando le stringhe delle sue scarpe. È il 26 settembre del 2006. La polizia francese lancia un appello a chiunque abbia avuto delle pareti in età avanzata morte in circostanze ambigue. Le segnalazioni sono centinaia e fanno ritenere che Keller abbia colpito anche in Germania e Olanda, ma il numero delle sue vittime si ferma a 23. Non perché sia quello, con certezza, il numero degli omicidi da lui commessi, ma perché è passato troppo tempo per fare chiarezza su altri casi molto sospetti. Yvan Keller, bianco ed europeo, è ritenuto il maggior serial killer di donne del Novecento, nel Vecchio Continente. E cosa c’entrano Feltri, Belpietro e le loro teorie e gli stranieri che attentano alle donne? C’entrano. Perché Keller era francese e dunque, per noi italiani, uno straniero.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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