Gli addebiti sono gravi: “Per anni avrebbero omesso di segnalare alla magistratura che i gruppi 1 e 2 della centrale termoelettrica di Fiume Santo, a Porto Torres, stavano contaminando il suolo, il sottosuolo e lo specchio d’acqua davanti al golfo dell’Asinara, provocando un gravissimo danno ambientale in aree di interesse pubblico. Un serbatoio da cinquantamila litri si sarebbe staccato dal fondo, provocando perdite continue che sarebbero state nascoste per non arrecare un danno all’azienda”. Per ora diverse persone sono state inquisite e diversi responsabili della E.on sono finiti in carcere o ai domiciliari.
Forse alla E.on leggevano la Bibbia e hanno preso sul serio Matteo (6,24), soprattutto quando descrive il dilemma della scelta di ciò che rimane di etico nell’animo umano di fronte al bivio del gesto: “Nessuno può servire due padroni, perché odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e Mammona”.
Mammona, nel tardo giudaismo, designa la ricchezza iniqua, che assume soprattutto la forma monetaria, “lo sterco del diavolo”, dicevano. Dio, nella declinazione ecologista, potrebbe rappresentare il rispetto della Natura, di tutto ciò a cui siamo debitori e che imporrebbe comportamenti di rispetto, equilibrio e cautela, nel suo utilizzo.
Certo, Matteo e diversi secoli di generazioni a seguire non conoscevano il denaro per come lo conosciamo noi. Il denaro è, nella sua potenza espansiva e pervasività dei pensieri e comportamenti del genere umano, un figlio della modernità.
Ma Matteo e i suoi contemporanei conoscevano l’avarizia, vizio capitale, che non è solo l’estremo contenimento delle spese per il gusto di risparmiare fine a sé stesso. Non è solo prudenza, oculatezza e attenzione elevate al rango di virtù. E’ anche avidità, mancanza di qualsiasi limite nell’accaparrarsi risorse economiche dentro un senso di continua insoddisfazione nei confronti dei livelli di ricchezza raggiunta. Quella “accumulazione in sé e per sé” che Weber descrive splendidamente tratteggiando i caratteri puri del procedere razionalmente dentro il perimetro del capitalismo.
Un tipo di vita attiva che non si preoccupa affatto del bene pubblico, qualunque esso sia, ma guarda esclusivamente alla produzione e accumulazione di ricchezza privata. Una pulsione all’acquisizione sottolineata anche da Kant: “Date pure ad un uomo tutto ciò che desidera, non appena lo avrà raggiunto sentirà che tutto non è tutto”. Provate a traslare questo meccanismo dentro una Multinazionale e si potranno calcolare i danni conseguenti in modo eccezionalmente amplificati…
Il problema, d’altronde, non è solo il gesto in sé e per sé: esempi di accumulazione finanziaria privata ai danni del pubblico interesse, come il diritto a vivere in un ambiente salubre, a cibarsi di prodotti sani, a lavorare in spazi non pericolosi, sono sempre stati presenti. Ma, con senso di superficialità e – a volte – di cosciente inganno, possono essere sempre richiamati, nel loro apparire, a casi singoli, ad eccezioni che deviano la norma.
Il problema serio è l’emergere dell’idea che il perseguimento dei propri interessi materiali anche in danno agli interessi pubblici, sia una forma di condotta del tutto legittima, “normale”, accettabile e – al limite – preferibile a qualsiasi altra scelta. “Cos’ fan tutti”.. parafrasando Mozart. Basta leggersi i dati sulla pervasività della corruzione nel nostro paese per capire quanto poco di sano sia rimasto in piedi, nel senso dei paletti posti al desiderio privato di ricchezza del capitale e, viceversa, sia diffuso, “normale” appunto, quel procedere alla ricerca dello sterco del diavolo.
Per limitare questi comportamenti, la cultura – a quanto pare – ha fallito. Sia quella diffusa sia quella specifica e principalmente implicata, quella degli imprenditori. Quella che, giusto per fare un esempio tra pochi, animava lo spirito imprenditivo di Adriano Olivetti: quel senso di responsabilità nel condurre gli affari che mai si dimenticava il contesto in cui si muove (naturalistico, societario, organizzativo, economico) né, tantomeno, il senso di debito nei confronti di chi (o cosa) le possibilità di accumulo delle stesse ricchezze ha determinato o consentito.
Rimane la Giustizia, a fare da paletto. E’ triste, ma è una dei pochi argini ancora a disposizione per difendersi dal dilagare della logica del profitto a tutti i costi, nonostante tutto e contro tutto. Contro noi stessi, a ben vedere.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.020 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design