Ho letto commenti feroci sulla tragedia del giovane escursionista francese, indipendenti dal grado di scolarizzazione degli autori. Comunque molto significativi. Gautier sarebbe stato imprudente, un irresponsabile ad avventurarsi su percorsi sconosciuti costringendo alla mobilitazione centinaia di persone, gli escursionisti – classificati come categoria – figurano come dei perditempo che hanno sviluppato questo hobby perché non avrebbero di meglio da fare. Gente che se la va a cercare. Per chi ha maturato questo giudizio, ogni passo che si percorra nella nostra vita dovrebbe essere sicuro e il cammino già battuto prima da altri, la scoperta sarebbe un disvalore, il pericolo una colpa. In un certo senso appartengo alla categoria e mi sento toccato. Cinque volte ho fatto da un capo all’altro della Sardegna in mountain bike e buona parte dei percorsi erano sentieri, mulattiere, tracce appena visibili in mezzo a boschi o pietraie. Avevo pianificato il possibile sulla carta, ma la gran parte della strada era per noi novità conosciuta solo nel momento stesso in cui la si attraversava. Una volta uno di noi con tutta la bicicletta cadde in un dirupo, a Osala, ma ne uscì indenne; un’altra volta, uno di noi si schiantò su un muretto a secco a Lu Litarroni di Aglientu e finì dritto dritto in ospedale a Sassari, in elicottero, mobilitando decine di persone. Quando sono caduto fratturandomi quattro costole, a maggio, fossi stato da solo non so come sarebbe finita. Sempre a maggio avevo camminato a piedi, in una sola giornata, per 48 chilometri, lungo la via dei pellegrini per l’Eremo di San Paolo di Monti. Negli ultimi chilometri, quando ero ormai esausto, non avrei potuto chiedere aiuto, perché in quella gola sperduta nessun telefono funziona. Sarei potuto cadere, svenire, infortunarmi, forse mi avrebbero trovato subito o forse no, anche se la strada la conoscevo. Ma io so che per me è esistita una vita prima dell’escursionismo e una vita dopo l’escursionismo: la seconda è decisamente migliore, più completa e più umana, arricchita dalla gioia immortale della scoperta. Certo, si corre qualche rischio. Ma non più di quelli che si corrono affrontando il futuro, peggio se con la certezza di poter avere tutto sotto controllo. Forse Magellano non sarebbe mai partito per il giro del mondo se avesse dato retta a chi lo considerava un imprudente, un pazzo, un irresponsabile a navigare mare mai solcati, forse se avesse dato retta a qualche uomo del suo stesso equipaggio che immaginava l’abisso oltre la Terra del fuoco. Sì, Magellano non è sopravvissuto a quel viaggio. Ma se non ci avesse provato e se Pigafetta non ce lo avesse raccontato, oggi saremmo tutti più poveri. Lo spirito di scoperta del povero Gautier credo fosse lo stesso.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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