Ho giurato a me stesso che mai più, in vita mia, commenterò gli inqualificabili titoli di certi giornalacci nostrani che, con la scusa del politicamente scorretto o della provocazione, legittimano razzismo, islamofobia, omofobia e antipolitica gratuita. Ho giurato di non spendere più una parola per queste grevi dimostrazioni di irresponsabilità, perché indignarsi e commentare è esattamente quel che vogliono gli autori di quei titoli: cercano visibilità e considerazione, magari per vendere qualche copia in più. Meglio il silenzio. Il problema è che ieri mi hanno letto uno di questi titoli. Riassumeva, nella solita maniera spiccia, la posizione di uno di questi giornalacci sullo scandalo sessuale che sta investendo Hollywood, posizione affidata ad un giornalista irrimediabilmente compromesso sul piano deontologico eppure ancora autorizzato a firmare in prima pagina. È stata una vera prova di resistenza fisica vincere la tentazione di postare quel titolo su Facebook e scaricarvi sopra tutto il mio disgusto, per quel nulla che conta. Ci ho pensato tante volte, nella giornata, che sarebbe stato giusto mostrare al piccolo mondo della mia bacheca Facebook quanto in basso possa scendere un giornalista, per far parlare di sé e per qualche copia in più, quando pensa di rappresentare tutto l’odio e i pregiudizi dell’opinione pubblica. Invece mi sono astenuto, con grande fatica. Punto. Venticinque anni fa, l’alba grigia di un lunedì mattina su un autobus dell’Arst, la mia mano stretta in quella della mia fidanzata, minuscole gocce di sudore mi rigano la fronte. “Coraggio, coraggio, sii forte”, mi sussurra la mia fidanzata. Il pullman passa davanti al bivio per Erula ed io mi sento perduto. Subito dopo i tornanti della Fumosa, sulla strada tra Tempio e Sassari, la mia pancia ha preso a gorgogliare, in modo imbarazzante perché distintamente udibile dagli altri passeggeri della corriera. Subito dopo, l’irresistibile bisogno di sedermi sulla tazza del cesso. Ma l’autobus non ha un bagno e un residuo di dignità mi impedisce di chiedere una sosta all’autista, che peraltro ben difficilmente l’avrebbe concessa. Ce la metto tutta per risparmiare a me stesso e a tutti i compagni di viaggio quella maleodorante umiliazione, tenendo duro per una cinquantina di chilometri. Poi, raggiunto il capolinea all’emiciclo di Sassari, corro con tutte le cautele del caso nel primo bar e irrompo nel primo bagno disponibile. Una squallida turca, che in quel momento mi sembrò una grazia del cielo. Il seguito ve lo risparmio. Come vi ho risparmiato l’incivile titolo di quel giornale. Ecco, lo sforzo fisico che produssi venticinque anni fa per salvare la mia reputazione mi ha molto ricordato quello di ieri, quando ho dovuto usare violenza a me stesso per non scrivere una sillaba su quel titolo. Epperò ci vorrebbe una turca, nascosta a occhi e orecchie del mondo, dove ciascuno possa segretamente liberare tutto il peggio di sé, quando è meglio che gli altri non vedano né sentano.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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