Ho rivisto il secondo capitolo di Comizi d’Amore di Pier Paolo Pasolini, quello intitolato “Schifo o pietà”.
Nel 1963 Pasolini realizzò questo film documentario intervistando italiani di varia estrazione sociale, età e provenienza geografica su questioni quali prostituzione, divorzio, sessualità. ( https://www.youtube.com/watch?v=O38Qkyj5AXk)
Lo schifo e la pietà sono i sentimenti che, in quell’Italia, gli intervistati chiamavano in causa alla domanda del poeta e scrittore, “Che cosa provate verso gli anormali sessuali?”.
Lo schifo e la pietà verso questi “anormali”, “invertiti”, “malati” tenevano unita l’Italia, legando il milanese che si considerava moderno perché incravattato e laureato, al ragazzotto di un bar di Catanzaro.
L’Italia fondata sullo “schifo”, schivi o sc’chìfu.
Nello schifo e la pietà generalizzati per gli omosessuali si realizzava quel conformismo figlio del consumismo che avrebbe impedito a Pasolini di considerare la vittoria dei NO al referendum sul divorzio come una vera conquista.
Gli eredi degli eleganti signori che Pasolini intervistava in treno nello scompartimento di prima classe, e che invocavano “l’esaltazione e salvaguardia della specie e della famiglia”, sono quelli che si sono riuniti a Roma sabato scorso, tracciando una linea di continuità tra l’Italia del boom e quella della recessione; tra l’Italia dei frigoriferi e della televisione e quella degli smartphone acquistati a rate. Nonni e nipoti uniti, oltre che dall’illusione del progresso, da una stessa perversione, quella spiegata da Moravia e Pasolini nello stesso documentario:
La persona che si scandalizza è una persona che ha paura di perdere la propria personalità, è uno che è psicologicamente incerto. In pratica, un conformista.
Se sono quasi uguali queste Italie, io sono comunque capace di scegliere.
E scelgo la dolcezza di Pasolini alla pesantezza di Adinolfi, alla sua rozza omelia romana e alle sue ascelle pezzate di intolleranza.
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