Nel corso delle epoche, l’ideale di bellezza femminile era quello prosperoso, formoso, giunonico. La donna, nell’immaginario antropologico, è sede della fertilità, dell’ubertosità terrena, della maternità. Ecco dunque la rotonda dea madre delle sculture neolitiche, la proverbiale Giunone per i classici, la paffuta Gioconda del Rinascimento, per arrivare a ieri con la prorompente bellezza cinematografica della Loren o della Taylor. Poi, a partire da quegli stessi anni ’60, in cui si diffondeva tecnologia e benessere, al modello di donna bella e prosperosa inizia ad affiancarsi, specie negli ambienti della moda, l’ideale di donna essenziale, magrolina, filiforme. Fino a giungere a delle vere e proprie modelle considerabili dentro la patologia dell’anoressia. Cosa è successo? Com’è stato possibile ribaltare in così pochi anni una radice antropologica così profonda per trasformarla in un ideale radicalmente diverso, addirittura opposto? A partire dagli anni ’60 il boom del consumismo ha sempre di più spaccato il mondo in due, con una parte ricca, sovralimentata, ed una povera, denutrita. La parte sovralimentata, la nostra, ha cominciato a soffrire di seri problemi di salute derivante dall’eccesso di cibo. La natura umana, infatti, nel lungo corso di una evoluzione dove il cibo scarseggiava, si è impostata per depositare, nei periodi di abbondanza, delle riserve organiche per sopperire ai periodi di magra. Su questa costituzione naturale dell’organismo, l’industria alimentare ha creato una serie di modelli culturali alimentari ingannevoli, alimentati da una potente macchina pubblicitaria, con dei sapori studiati per creare delle vere e proprie forme di dipendenza psicologica dal cibo. Per converso, la lotta contro il proprio peso è diventata una costante, una vera e o propria ossessione per la maggior parte delle persone. Una battaglia quotidiana che vede l’indice della bilancia segnare la qualità del buongiorno. In una società dove l’apparire è diventato un imperativo in grado persino di oscurare il valore della salute, l’indice del peso, con tutto il corollario di bombardamenti mediatici e pubblicitari, ha finito per creare un modello culturale opposto a quello della donna prosperosa. L’uomo, spiegavano gli antropologi strutturalisti come Levi Strauss, ragiona per opposizioni. Per cui la cultura moderna, quella industriale e consumista, si è divisa, finendo per idolatrare l’ideale di donna completamente opposta a quell’altra. Non una donna, quindi, magra ma di buona costituzione, sportiva e salutista, ma una donna emaciata e gracile. La società moderna, alla stessa maniera con cui divide il mondo in paesi dove la gente muore perché mangia troppo e altri dove la gente muore per denutrizione, tende a creare modelli di donne in perenne lotta con il proprio peso, spesso schiave del junk food, e donne schiave di un ideale opposto a quello, una magrezza totale e assoluta, una sorta di annientamento di ogni potenzialità fisica. E’ partita così, negli ultimi anni, la controffensiva della cultura alternativa, che ha incominciato a combattere il senso di disagio, di esclusione che le donne in lotta con il loro peso soffrono all’interno della società dell’immagine. E lo ha fatto, come le polemiche di questi giorni dimostrano, non lavorando per l’inclusione di quelle, ma per l’esclusione di quelle altre. Ora, il risultato di questa operazione della cultura oppositiva è che, ad una emarginazione, se n’è aggiunta un’altra. E occorre dire che l’emarginazione di cui soffrono le donne magre, oggi, è ancora peggiore. La retorica del “grassa è bello”, ha finito per creare un clima di forte diffidenza e denigrazione nei confronti della donna magra. Non stiamo parlando della modella straricca e strafiga, ma dell’adolescente magrolina, o della donna magra per costituzione. La donna sana ma magra di costituzione oggi non può quasi più uscire di casa perché oggetto di un dileggio continuo. Si inizia con la famiglia di origine, da sempre attenta a non far mancare il nutrimento ai figli, in modo spesso sgangherato ed esagerato: “ma stai mangiando?” è il saluto di genitori e affini. Poi si prosegue con le amiche, con un profluvio di interrogativi sulla salute e prese in giro di ogni tipo. Un certo sadismo, derivante da invidia trattenuta a stento, gioca un ruolo fondamentale in questo dileggio condito da frasi del tipo “ma stai scomparendo”, “ma quanto sei magra”. Sottinteso: ma guarda questa stronza che si può ingozzare di cioccolato e gelati e io se appena li annuso non mi entrano più i pantaloni. C’è, inoltre, un codice della cavalleria che contempla il complimento alla donna abbondante. Per galanteria, infatti, è disdicevole sottolineare il peso e le forme di una donna in sovrappeso. Anzi, per consolazione o piaggeria, il galantuomo cercherà piuttosto, alla donna abbondante, di sottolinearne la bellezza, il fascino delle sue forme, anche, spesso, ricorrendo alla retorica oppositiva, con insulti e dileggi alle donne magre “che non ci piacciono” o, addirittura, “che ci fanno schifo, sono tutte ossa”. E questo anche se, lì vicino, c’è una donna magra ad ascoltare. Perché il codice della galanteria non prevede la delicatezza nei confronti della donna magra. Fateci caso: Il galantuomo più delicato con la donna che sa essere in lotta con il suo peso, si trasforma nel cafone più triviale quando si confronta con una donna magra. La donna magra finisce per diventare lo sfogatoio delle tensioni accumulate con i sacrifici fatti per stare nel peso forma. La magrezza femminile, insomma, a causa di quella retorica che doveva combattere quel modello di donna magra imposto dall’industria della moda, è stata trasformata in una colpa. Essere magra, per una donna, non è più una condizione costitutiva (la nonna era magra, la mamma era magra), ma una colpa, una sudditanza per nulla provata verso quei modelli ingannevoli. Tra l’altro, la condizione psicologica della donna magra è molto più precaria di quella abbondante, per via della difficoltà, quasi della impossibilità, di questa, di prendere peso. A voglia di fare diete ingrassanti. Insomma, questo è il sintomo di società vendicativa e sadica, che sa solo rispondere, alle discriminazioni, con altrettante discriminazioni. Tanto che, anche a livello di “opinion leader”, di fronte ad una bellissima donna magra o una bellissima donna grassa, non si vede più il “bellissimo”, ma solo il grasso o il magro.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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