Penso che prima dei pisani, quelli che hanno cinto Sassari di mura alte e robuste, funzionasse proprio così: i razziatori di turno, quatti quatti, facevano irruzione in città da qualche varco meno protetto, ammazzavano i primi malcapitati, rubavano quel che potevano e scappavano appena la popolazione si organizzava per buttarli fuori e se possibile anche per fargliela pagare. Non solo eserciti organizzati o pirati che si spingevano a loro rischio così lontani dal mare (allora non c’erano né 131 né Buddi Buddi e andare e tornare da Sassari non era impresa da ridere), ma anche briganti generici, delinquenti, come sempre ce ne sono stati, bande che si formavano per l’occasione, desiderose di sfogare violenza repressa, fame, frustrazioni e altre miserie subite nei loro luoghi di provenienza. I farabutti provenienti da Cagliari (amo tanto questa città che chiamarli tout court “cagliaritani” mi dà un po’ di fastidio), rientrano in questa antica, ignobile categoria e il loro ingresso ha provocato una reazione che non ha che fare con la tifoseria della Torres, contrariamente a quanto alcuni credono. Le primissime reazioni, infatti, quelle che hanno in qualche modo contenuto la selvaggia aggressione e fatto capire ai briganti che quegli interminabili minuti di impunità erano finiti, sono state da parte di cittadini sassaresi che volevano proteggere le loro famiglie, le loro case e i loro beni. E’ vero, poi sono arrivati alla spicciolata anche gli ultras della Torres pronti a rispondere alla provocazione. Ma all’inizio c’è stata una reazione coraggiosa e insieme istintiva, quasi atavica, primordiale qual è l’istinto di un popolo che si difende. E non lo dico con orgoglio ma con paura. Tornare ai tempi di mamma li turchi non è una bella cosa. In qualche secolo ci eravamo ormai abituati a uno Stato che da quella gente ci difende validamente. E’ vero che la gente del centro storico di Sassari è particolare. Sono cittadini che proteggono tra difficoltà e abbandono la loro scelta di continuare a vivere in quartieri che le classi dirigenti sassaresi, dall’Ottocento in poi, hanno consegnato a un degrado in parte voluto per motivi speculativi e in parte dovuto a incapacità di gestione dell’urbanistica e del patrimonio abitativo. E’ gente, quella del centro storico, che ha sviluppato un senso di appartenenza, un patriottismo di quartiere e di città, molto diverso dal becero e qualche volta criminale campanilismo delle consorterie che si proclamano legate al mondo del calcio. Lo Stato non ha detto a questo popolo del centro storico sceso in strada a difendere la città: “Grazie per quello che avete fatto, ora state tranquilli, ci pensiamo noi”. Il messaggio è stato diverso, compresi gli accenni alle misteriose “provocazioni” provenienti da Sassari e il fatto che la maggioranza dei briganti sia stata comunque fatta andare via probabilmente impunita. Ha ragione il mio caro amico Giampaolo Cassitta quando parla dell’inutilità della galera per simili malfattori, per i quali andrebbero meglio i lavori socialmente utili. Ma bisogna sapere chi sono, prima di decidere che cosa fare di loro. E soprattutto bisogna che lo Stato, la polizia, dia una risposta rassicurante alla gente del centro storico. Che le dica di stare tranquilla, che si è capito benissimo che non è una questione di botte tra ultras, che i tempi dei briganti sono finiti. Ma ho paura che i segnali provenienti dal sud non siano in questo senso troppo incoraggianti.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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