Avevo un contratto di prova di un anno, una volta scaduto doveva essere prolungato a tempo indeterminato. Funzionava così per tutti quelli che venivano assunti in quell’azienda: il rinnovo con posto fisso dicevano fosse una pura formalità. Il direttore, pochi giorni prima, mi tolse ogni dubbio: “Non preoccuparti, è tutto a posto”.
Invece a me non lo rinnovarono. Avevo già trent’anni e una moglie incinta di tre mesi.I miei colleghi, quasi tutti, firmarono una petizione in mio favore per chiedere ai vertici aziendali di ripensarci.
Una delegazione sindacale andò dal capo, il quale fu irremovibile.“Non c’è nessuna possibilità che il contratto del signor Giorgianni possa essere rinnovato”.Giorgianni. Il padrone mi nominò così, storpiando il mio cognome.
Mi chiesi, al tempo, se davvero non lo conoscesse o se lo avesse fatto apposta.Anni dopo appresi che anche questa è una tecnica di comunicazione usata da chi occupa posizioni di rilievo: quando bisogna levarsi di torno uno scocciatore, occorre farlo sentire così piccolo da privarlo pure del nome o da assegnargliene uno d’ufficio. Certo, nessuno mi aveva detto nulla e stavo per diventare padre, ma cosa volete che fosse se i piani aziendali, nel frattempo, erano cambiati?
Ogni primo maggio penso a quella volta che il padrone mi assegnò un cognome d’ufficio. La mia Festa del Lavoro è il ricordo incancellabile di quell’umiliazione.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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