Genova 28/4/2004 Amichevole Italia Spagna 1-1 - Friendly match Italy - Spain 1-1. Roberto Baggio (Italia) during the match. Photo Andrea Staccioli / Insidefoto
L’Argentina ha il suo tango solitario e intenso, il Portogallo quel fado triste e coinvolgente. Sono tutte lacrime che accompagnano Messi e Cristiano Ronaldo e cancellano il sogno di diventare campioni del mondo. Il Brasile, invece, ha la sua “saudade”, un misto di malinconia e sconforto incontrata una sera di luglio in terra di Russia dove l’Italia si è presa la partita per mano, approdando ai quarti di finale e lasciando dentro un’ incontenibile disperazione Neymar soci. Il mondiale, per loro finisce qui. Quello dell’Italia, incredibilmente, continua. Dopo i tedeschi, battuti ancora una volta 4 a 3, (guarda caso: identico risultato di Francia Argentina, altra partita epica che ha consegnato i galletti ai quarti di finale) è stata l’ennesima rivincitache non ha però il ricordo di quella finale persa malamente in Messico nel 1970: troppo forte quel Brasile e troppo stanca quell’Italia reduce dalla battaglia dei supplementari con i tedeschi. Qui, in terra di Russia, dove abbiamo scoperto un piccolo ristorante che offre vini sardi, è stata la ripetizione di quell’altra sfida: quella in terra statunitense, nel 1994, dove il Brasile vinse ai rigori per 3 a 2 portandosi a casa la coppa del mondo di calcio. Come un romanzo che si riscrive, come qualcosa che si ripete, come un sogno quasi ossessivo, i mondiali in terra russa ci regalano cabale, ritorni di fiamma, errori che si consumano dietro un passaggio sbagliato, un tiro mancato, una marcatura saltata. E’ sempre così quando si parla di calcio, di quel pallone terribilmente rotondo e perfetto e senza curve, perché gli spigoli e le durezze le disegnano i giocatori: quelli che scendono in campo per giocarsi una fetta di vita, quelli che scendono in campo per riportare tutto al gioco e alla complessità. Ecco perché questa storia non la poteva raccontare Neymar, lontano parente del Ronaldo brasiliano, ma non la potevano raccontare neppure Romario, Bebeto, Aldair, Taffarel e Dunga, non convocati per questa partita. Questa storia la dovevano raccontare e dunque scrivere Roberto Baggio insieme a Paolo Maldini e Franco Baresi, gli unici reduci di quella finale del 1994. Tutto come copione, tutto ben disegnato, sceneggiato, tutto ben colorato. Partita a tratti rude, a tratti noiosa. Poche occasioni, Gigi Riva svagato, Bruno Conti poco ispirato, Gianfranco Zola in panchina e Balotelli confuso tanto che, a fine del primo tempo, si registra un tweet al veleno della Meloni: “ma sto, ragazzetto tutto muscoli e poco cervello nun se poteva naufragà a Malta?”. Salvini, invece, fiutando l’aria, non rilascia alcuna dichiarazione. Il secondo tempo è all’insegna del tatticismo. Francesco Totti che prova con un tiro da fuori, Neymar che si lamenta del trattamento ruvido di Cannavaro (e allora Benetti, verrebbe da ricordargli). Eupalla si addormenta letteralmente. La paura raccoglie tutti i supplementari e la partita scivola verso la finale destinata ai calci di rigore. Bearzot, potendo contare sulla novità di questo mondiale attua la quarta sostituzione: Zola al posto di Totti. Lo fa negli ultimi minuti per paura, forse, che il romano voglia tirare il rigore con il metodo “a cucchiaio”. Quando l’arbitro fischia la fine della partita tutti si guardano intorno e tutti guardano negli occhi Buffon, portiere prescelto da Bearzot per questo ottavo di finale. Può essere lui a fare l’impresa. Lui che è già diventato campione del mondo proprio ai rigori, lui che insegue questo sogno, questo suo ultimo sogno dopo le delusioni con la sua Juventus per non essere riuscito a vincere la Champion league. Poi, chissà perché, tutti osservano Franco Baresi e Roberto Baggio, i tiratori del primo e ultimo rigore in quella terribile finale del 1994: rigori sbagliati e titolo ai carioca. Tutto si può ripetere come in un film, come una storia che ti affascina ma ti crea ansia, paura, terrore. Baggio e Baresi, come le gemelle che appaiono nel corridoio dell’albergo nella scena cult del film “Shinning” : entrambe con i vestitini celesti. Baggio e Baresi: entrambi con le magliette azzurre. Ancora davanti al Brasile, ancora con lo stesso film, lo stesso ciack, diverse comparse ma con gli stessi protagonisti. E Baresi tira per primo, perché così è deciso, perché così si deve fare, perché Achille se la gioca sempre la sua battaglia e mica è possibile sempre che si riesca a colpire il suo tallone. Baresi posa il pallone sul dischetto e non guarda nulla. Sa quello che deve fare. Sa quello che deve succedere: come un rito, come una messa cantata, come la festa dell’iniziazione. Ecco perché il pallone è rotondo: racconta l’imprevedibilità dell’azione, del gesto, racconta che mai e poi mai, anche se sei nella stessa situazione, ti può capitare che tu commetta lo stesso errore, che tu possa segnare lo stesso gol, che l’avversario ti ricostruisca la stessa azione. Non accade perché il pallone è rotondo e perché la vita non te lo permette, sarebbe banale. E Baresi non guarda, attende il fischio e il silenzio di tutti. Dentro quel silenzio tira e il portiere para. Non nello stesso modo, non con lo stesso gesto: nel 1994 il tiro finì alto e Baresi, allora capitano della nazionale azzurra, si mise a piangere. Non questa volta. Le cose non si ripetono. E le cose si modificano. Thiago Silva segna, anche Zola segna. Poi Coutinho segna e anche Riva segna. Poi Neymar che tira fuori. Siamo sul tre a tre. Il quarto rigore è sui piedi di Balotelli e il ragazzo non sbaglia. Tweet velocissimo di Salvini: “prima gli italiani, di qualunque colore”. Ma neppure Casemiro sbaglia. Ed ecco Baggio. Roberto. Lui e il suo codino, la sua corsa al piccolo trotto, il suo guardare sempre verso orizzonti che gli altri non vedono; eccolo Baggio con il suo rigore da tirare, con il rigore da non sbagliare. Alisson, il portiere del Brasile, sa chi è Roberto Baggio. Sa che il pallone è rotondo e la vita carambola nella cabala e nella sorte e in quello che dalle sue parti si chiama saudade. E segna Roberto, segna alla sinistra del portiere: dalla parte del cuore. Non ci sono più gli occhi verso il cielo a cercare quel pallone tirato nella finale del 1994: la rotondità ha cambiato traiettoria, ha camminato basso, bassissimo, alla sinistra del portiere. Adesso il Brasile non può e non deve sbagliare. Lo sa Paulinho, lo sa e capisce che Buffon non è Pagliuca, che la storia a volte si ripete ma al contrario. Può succedere, tutto può succedere nell’attimo della vita, tra un rigore e l’inferno, tra un rigore e il paradiso. E Buffon lo para. Con il piede lo para. Perché la palla è rotonda, perché le carambole esistono e perché Achille è sempre un bell’eroe da citare. L’Italia arriva ai quarti di finale e i brasiliani, insieme agli spagnoli – morti anch’essi dalla lotteria dei rigori con la Russia – hanno gli occhi gettati verso le parabole di una vita che cammina tra il fado ed il tango argentino, tra la saudade e la tristezza. E pensare che qualcuno non voleva che l’Italia giocasse questo mondiale. Forse tra quelli c’eravamo anche noi. Forse. Ma tutto questo non ha importanza. Adesso ci giochiamo i quarti perché la palla è rotonda, perché i talloni a volte non si scoprono e perché Roberto Baggio quel rigore se lo doveva riprendere. Con la cabala non si scherza, ma si gioca. Ed è l’Italia, in questo momento, che continua a giocare e a sognare.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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