“L’invasione degli ultracorpi” è un b-movie americano degli anni Cinquanta che ben presto, a dispetto dei pochi mezzi con i quali era stato girato, diventò ed è ancora un film di culto. Parla di un’invasione di extraterrestri che si trasformano in copie perfette degli abitanti di una cittadina maturando dentro enormi baccelli. Al termine della metamorfosi di volta in volta si sostituiscono agli originali, che vengono eliminati. Le mie ombre rosse me lo ricordano per due motivi. Il primo è un grave trauma infantile che risale a quando avevo sei o sette anni, eppure lo vivo come fosse oggi: immaginatevi quanto rimasi scioccato. Accadde cioè che mio padre, allora medico condotto a Nughedu, in uno dei suoi rari momenti liberi mi portasse al cinema, non ricordo se proprio in paese o nella vicina Ozieri. C’era appunto il film di cui si parla, allora fresco fresco di doppiaggio italiano. Saremo stati cinque o sei spettatori. Ebbene, quando ero già preso dalla storia degli spaziali che venivano fuori dalle gigantesche fave, si interruppe la proiezione e si fece luce in sala. Il gestore del cinema comunicò ai pochi astanti che per lui era più conveniente restituire i soldi dei biglietti e risparmiare energia elettrica, riservando la proiezione completa a una serata più affollata. Mio padre la prese a ridere. Ma era molto nervoso anche lui. Comunque poco tempo dopo a Sassari riuscii a vedere il film in versione integrale e poi l’ho rivisto molte altre volte. Lo conosco a memoria. E il segreto del successo di quel film, nonostante la povertà di effetti speciali, di grandissimi attori e di altra roba che costa soldi, è una buona sceneggiatura basata sulla tensione. Il film trasmette cioè dall’inizio alla fine l’inquietante sensazione di essere circondati da mostri nascosti tra noi. Ogni sorriso, che sia quello della tua ragazza o di tuo fratello, può all’improvviso trasformarsi in un ghigno satanico. Sono tra noi e non sappiamo chi siano. Sappiamo solo che sono tanti. Che forse vinceranno loro. E tutto ciò mi torna in mente pensando alle vicende di malaffare nella pubblica amministrazione. Quelle degli ultimi anni, pervasive, tenaci, ripetitive. La sensazione è che in milioni di uffici pubblici sotto le scrivanie siano nascosti grandi bucce di piselli dove maturano i cloni dei veri politici e dei veri funzionari. E spero che anche questa volta si accendano le luci e il gestore interrompa la proiezione.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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