Scegliere Lino Banfi per un importante ruolo di rappresentanza istituzionale significa mettersi in scia al modello di comunicazione di Salvini. Significa che quella galassia informe chiamata Cinquestelle, una galassia dai contorni perlopiù indefiniti, ha deciso di uniformarsi alla strategia di immagine tagliata su misura per il ministro dell’Interno, una strategia che secondo i sondaggi ha portato la Lega ad essere il primo partito italiano. I Cinquestelle vedono Salvini vincente e lo seguono sul suo terreno preferito, quello che potremmo chiamare “il perimetro della normalità percepita”. La comunicazione di Salvini passa attraverso messaggi semplici e brevi, che uniscono i tempi degli spot pubblicitari alla facilità dei concetti veicolati. Tutto ciò che ci sembra normale ad una prima vista, tutto ciò che abbiamo sempre visto come rassicurante e giusto appartiene al manifesto politico di Salvini e regge la sua comunicazione. Salvini parla all’italiano medio che è in tutti noi, indipendentemente da titolo di studio, conto in banca e libri letti. L’Italiano medio che quando ha fame non sa controllarsi, l’italiano medio dei processi sommari su materie che non conosce e giudica attraverso le sue sensazioni superficiali, l’italiano medio che vuole risolvere tutto con la pena di morte, l’italiano medio convinto che non ci sia nulla di meglio al mondo di un piatto di spaghetti al dente con sugo di pomodoro. Nel perimetro della normalità percepita ci stanno appunto la pastasciutta col ragù industriale e tanta altra roba da mangiare senza troppe pretese, il che garantisce un piacere immediato a chi guarda e finisce col rendere simpatico colui che gioisce nell’abbuffarsi con alimenti semplici. Nel perimetro della normalità percepita ci stanno le divise della polizia e dei carabinieri, perché rappresentano l’ordine e la forza che difende dai malintenzionati appostati ad ogni angolo buio per portarci via il portafogli. Nel perimetro della normalità percepita ci stanno i gattini (chi scrive, ad esempio, è un assiduo postatore di mici su Facebook), che ci raccontano la serenità della casetta e morbidi animaletti domestici che si accontentano di quattro crocchette. Nel perimetro della normalità percepita si difende tutto ciò che abbiamo sempre conosciuto, esattamente come lo abbiamo sempre conosciuto. Nel perimetro della normalità percepita ci sono i grembiuli a scuola uguali per tutti: messaggio molto trasversale, ma più tradizionalista che egualitario. Ma c’è spazio anche i ceffoni ai ragazzi: un assurdo per ogni pedagogista, ma siccome abbiamo sempre pensato che gli scappellotti siano il modo più efficace per correggere i bambini ribelli ecco che, in barba alla scienza, prevale la consuetudine. E chi, tra noi, non si è mai lasciato sfuggire uno scappellotto al proprio figlio, anche quando se ne fosse pentito un secondo dopo? Nella normalità ci stanno anche i 49 milioni. Perché quando mai si è sentito che un politico non faccia un poco di cresta?
Il perimetro della normalità percepita respinge invece tutto ciò che normale non appaia e presupponga un lavoro di comprensione, più o meno faticoso. Cibi e usanze e uomini e leggi di luoghi lontane, poiché la normalità presuppone che il centro del mondo siamo noi.
Il perimetro della normalità è il centro di consenso di un Paese tradizionalista, sazio, a cui le cose stanno bene così come sono, anche se ogni tanto finge di indignarsi per sciocchezze di poco conto.
E cosa c’entra Lino Banfi in tutto questo? Banfi è uno dei re della commedia scollacciata italiana che mette nel calderone tette, culi, slogan da caserma, luoghi comuni sui meridionali e partite di pallone. Io, che sono italiano medio, credo di averle viste tutte, queste commedie. Perché è la cosa meno impegnativa da fare quando, la sera, vuoi smettere di pensare e ridere senza dover troppo meditare sulla battuta pronunciata dal commissario Lo Gatto. Banfi appartiene al perimetro della nostra normalità. I Cinquestelle lo hanno capito e ora che sono forza di governo lo hanno trasformato in modello politico. Seguendo Salvini. Oppure la Democrazia cristiana, che ci faceva ridere con Pippo Franco e Martufello al Teatro Bagaglino.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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