Scoppiavamo a ridere, da ragazzi, guardando le vecchie foto di babbo e mamma che indossavano ridicoli pantaloni a zampa d’elefante e calzature dalle zeppe altissime. Poi la moda chiuse il suo giro, i pantaloni a zampa d’elefante e le scarpe con le zeppe altissime tornarono in voga e noi, buoni buoni, li indossammo, dimenticando quanto avessimo riso dei nostri genitori strizzati in quei calzoni dalla vita stretta o in precario equilibrio su quei piedistalli. A me la sintesi di questa campagna elettorale pare tanto simile al giro della moda. Dopo avere riso degli attentati al buon gusto perpetrati una generazione prima, eccoli ripresentarsi. C’è il vecchio imprenditore cui viene permesso di ripetere le stesse formule acchiappa consenso di vent’anni fa e c’è il leader xenofobo che ha un volto nuovo ma cavalca vecchie paure, mentre in quella che si è autoproclamata sinistra si continua a fare a botte, “io sono più sinistro di te”, e dalla rissa nasce l’ennesimo nuovo partito. Il paradosso è che ci potrebbe capitare di indossare anche di peggio dei pantaloni a zampa d’elefante, perché la nuova proposta della moda ha il taglio ambiguo di un populismo tutto chiacchiere e distintivo, alimentato da rabbia e luoghi comuni. Il politicamente corretto imporrebbe, a chi scrive e commenta su pagine che hanno un certo seguito come questa, di tenere per sé il personale disinteresse per la politica. Chi scrive e commenta dovrebbe piuttosto chiedersi con toni preoccupati come mai, ad ogni tornata elettorale, aumenti la disaffezione della gente verso la politica, perché la gente non vada più a votare. Ma chi scrive e commenta è a sua volta un elettore e mai, come stavolta, mi vedo costretto ad ammettere la mia totale indifferenza verso le grandi manovre della campagna elettorale. Tutto o quasi è un già visto, non c’è nulla che mi appassioni, che scaldi il cuore, non vedo ipotesi plausibili di società o qualcuno che indichi un orizzonte. Stamattina il telegiornale diceva che se tutte le promesse fatte finora dai politici dovessero essere mantenute, queste graverebbero sulle casse pubbliche per la insostenibile cifra di 270 miliardi di euro. Il solito mercato delle vacche, anzi, peggio che mai. Però rassegnarsi è come morire. E allora i mesi che ci separano dal 4 marzo li dedicherò, un poco ogni giorno, a cercare motivazioni valide per andare a votare. Qualcosa di nuovo dovrà pur esserci, cribbio!
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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