Il premio Sakharov 2016, istituito dal Parlamento europeo e dedicato alla libertà di pensiero, è stato assegnato a due donne, protagoniste di una straordinaria battaglia per salvare il proprio popolo dallo sterminio. Nadia Murad e Lamiya Aji Bashar sono yazide, entrambe sono riuscite a sfuggire alle persecuzioni dell’Isis, ultime in ordine cronologico di una lunga serie.
Abbiamo sentito parlare spesso del coraggio dimostrato dai combattenti yazidi in Iraq, al pari dei peshmerga curdi. E sappiamo dell’accanimento delle milizie islamiche guidate dal Califfo nei confronti di questo popolo; donne ridotte in schiavitù e utilizzate a scopi sessuali, uomini costretti alla conversione e spediti in avanscoperta a combattere. Si è saputo persino di donne e bambini utilizzati per trasfusioni d sangue a vantaggio dei guerriglieri feriti. Quello degli yazidi iracheni è un vero e proprio genocidio.
Gli yazidi sono seguaci di una religione esoterica le cui radici sono antichissime e che, nel Sinjar iracheno, regione difficilmente accessibile prima dell’invenzione dei veicoli a motore, è sopravvissuta agli eventi della storia, in particolare a settantadue persecuzioni. Venerano un angelo che ha la forma di un pavone, pregano tre volte al giorno, credono nella reincarnazione, sacrificano i tori, non mangiano lattuga e non indossano mai abiti blu, vengono battezzati una sola volta attraverso l’immersione in una sorgente considerata sacra, considerano i quattro elementi (terra, acqua, fuoco e aria) più importanti di qualsiasi profeta. Da cosa derivino questi atteggiamenti è difficile dirlo, dal momento che non esistono sacre scritture, che i loro segreti, tramandati oralmente, sono spesso ignorati persino dai seguaci e che non sono affatto interessati al proselitismo. Non credono al diavolo (sia il Male che il Bene, a loro avviso, provengono da Dio) ma non pochi musulmani li considerano adoratori del diavolo. Per molti secoli hanno fatto fronte comune con i cristiani nel respingere le aggressioni dei musulmani. Oggi sono alle prese con la loro battaglia campale.
Lamiya Aji Bashar è stata rapita, non ancora maggiorenne, dal suo villaggio. Ridotta in schiavitù sessuale, è stata venduta più volte. Dopo quattro tentativi di fuga andati a vuoto, al quinto è riuscita a scappare. Poco prima di raggiungere la salvezza, nelle zone controllate dai curdi, è stata ferita gravemente dall’esplosione di una mina. Ha perso un occhio e ha il volto sfigurato. Le sue due compagne di fuga, una ragazza di vent’anni e una bambina di otto, sono morte. Oggi ha trovato rifugio in Germania, dove vive insieme alla sue sorelle.
Nadia Murad ha ventuno anni. Quando i miliziani dell’Isis fecero irruzione nella sua casa, fu costretta ad assistere allo sterminio della madre e dei suoi sei fratelli. Fu trasferita a Mosul, violentata e torturata. Riuscì a fuggire dopo tre mesi e a raggiungere l’Europa. Oggi gira il mondo per raccontare la tragedia del suo popolo e chiedere alla comunità internazionale di fermare l’Isis. Nel video che trovate qui, alla domanda se le piaccia la sua nuova vita, Nadia Murad risponde con uno di quei “no” che restano scolpiti nell’anima.
Nell’introduzione al suo “Regni dimenticati”, uscito in Italia per i tipi di Adelphi, l’ex diplomatico inglese Gerard Russell racconta che un giorno, mentre scavava tra le rovine di Ur, nell’Iraq meridionale, l’archeologo Leonard Woolley trovò per caso un meraviglioso pannello di legno intagliato. Per cinquemila anni si era conservato perfettamente, sotto la sabbia, ma era fragile come piume sulle ali di una farfalla. Proprio mentre lo teneva in mano osservandolo, cominciò a piovere e, prima che Woolley avesse il tempo di scattare una fotografia, le incisioni svanirono davanti ai suoi occhi. La pioggia aveva distrutto in pochi secondi un’opera sopravvissuta per più di quattromila anni.
Lo sterminio degli yazidi è parte del dissolvimento di quel meraviglioso mosaico di popoli e religioni che è stato il Medio Oriente e che oggi, complice una devastante ondata di intolleranza, rischia di andare perduto per sempre.
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