Una volta c’erano le inchieste chiamate da Enrico Deaglio per il suo bellissimo Diario settimanale “inchieste vecchio stile”. Una volta i giornalisti provavano a camminare sulle parole, a verificare le fonti, ad incrociare le notizie. Oggi, invece, esistono le “campagne” che hanno tutte un metodo: disintegrare l’avversario. E non pensate sia una prerogativa solo di alcuni quotidiani (Libero, Il Giornale solo per citare quelli più “allenati”) perché, come dire, non si fanno mancare niente neppure a sinistra o da quello che tutti compassatamente chiamano “la sinistra da salotto”, quella lib-lab, un tantino borghese e con la puzza sotto il naso. Insomma, una volta c’erano le inchieste, oggi ci sono le campagne di sputtanamento e al gioco partecipa addirittura “La Repubblica”, il giornale fondato nel 1976 da Eugenio Scalfari. Ora, dico subito che sono un lettore di Repubblica dal 14 gennaio 1976, giorno del suo esordio in edicola e, nonostante alcune prese di posizione non condivise, (ero per la trattativa con le brigate rosse, nel 1978 per il sequestro Moro e La Repubblica no) ho sempre considerato il quotidiano romano un punto di partenza per capire certi atteggiamenti. Non ho apprezzato la veemenza con la quale hanno letteralmente aggredito Silvio Berlusconi (alcuni articoli erano davvero cattivi e inutili) e non amo l’atteggiamento spocchioso che continuano a utilizzare nei confronti di altre persone o gruppi (e ho amato pochissimo il falso innamoramento dell’ateo Scalfari nei confronti di Papa Francesco). Insomma, questi, per dirla alla romana, se la tirano e non mancano occasione di costruire la notizia con la campagna di denigrazione intorno. L’ultimo, in ordine di tempo è il sindaco di Roma, non amato dai Renzi’s boys e quindi colpevole di tutto. La campagna che in questi giorni si sta montando contro di lui è assolutamente vergognosa e viene voglia di difenderlo “a prescindere”, come direbbe Totò. Prendete il giornale in edicola mercoledi 7 ottobre: due articoli velenosissimi senza neppure una notizia. Uno è un’intervista ad un ristoratore (l’intervista è stata pubblicata anche sul web) che “sputtana” il sindaco perché ricorda benissimo che Marino, quel giorno, (il 27 luglio 2013) è stato al ristorante con la moglie. Ricorda addirttura il vino che ha ordinato il sindaco e il giornalista ci tiene a fare le domande trabocchetto, a mostrare foto diverse sulla moglie del sindaco che l’oste riconosce tra varie foto visionate, in una sorta di un vecchio gioco da questura: “Eccola, è lei”. Non si ricorda cosa ha mangiato però rammenta benissimo cosa ha bevuto (se lo ricorda, evidenzia il giornalista, prima che la fattura venisse pubblicata sul sito del comune): era un bianco, un vino importante, che non molti si potevano permettere. Fermiamoci un attimo. Se questa fosse un’inchiesta vecchio stile le domande dovrebbero essere: ma come fa a ricordarsi un episodio accaduto da oltre due anni quando, per statistica acclarata, i testimoni vedono, a distanza di minuti da quanto è accaduto, cose diverse e contraddittorie tra loro? Come fa a dire che non ha visto “prima” la fattura pubblicata sul sito, posto che è stata inserita da due giorni e l’intervista è del giorno successivo? Infine: ma dobbiamo inserire tutto nella benedetta rete? Dobbiamo assolutamente creare il cattivo a tutti i costi? Perché non proviamo, con un’inchiesta vecchio stile (di quelle vere) ad analizzare come si è mosso il sindaco Marino per gli interessi della sua città? Perché non lo facciamo con tutti i sindaci? Non vorrei che tutto si limitasse alla fattura (che, in ogni caso, va controllata) e ci sfuggisse, per esempio, che quel sindaco che paga tutto con i propri soldi poi, incredibilmente chiude un occhio sul PUC, dimentica di verificare alcune gare d’appalto e assume dei nipoti nelle municipalizzate. Ecco, vorrei si parlasse di questo, quando si parla di un sindaco perché poi, quando siamo nel bel mezzo dell’alluvione rischiamo di andare a controllare le fatture del ristorante (va bene, per carità) e ci dimentichiamo di cose, forse più importanti. Ecco, vorrei poter leggere su Repubblica (e non solo) una bella inchiesta vecchio stile. Chiedo troppo?
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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