Uno dei più radicati luoghi comuni che riguardano il fenomeno degli incendi in Sardegna, è quello che vorrebbe che essi siano solo di natura dolosa. Questo luogo comune è spiegabile come uno di quei fenomeni che Levi-Strauss definiva “buono da pensare”. E’ una cosa, questa della negazione degli incendi colposi, infatti, buona da pensare. Che in un ambito mediterraneo, con vaste distese vegetazionali particolarmente secche e infiammabili, non occorra fare attenzione all’uso del fuoco, va contro il buon senso e la logica. Purtroppo, che una gran parte degli incendi siano dovuti a incuria, menefreghismo e distrazione è dimostrato, oltre che dall’esperienza degli addetti ai lavori, chiamati a spegnere incendi delle più svariate cause, anche dalle statistiche che pongono gli incendi colposi in misura inferiore, ma solo di poco, a quelli di natura dolosa. Pertanto, se pensiamo che gli incendi che si sviluppano in Sardegna sono nell’ordine delle migliaia a seconda della stagione, ammontanti a circa 3-4000, possiamo renderci conto del numero degli incendi di natura colposa in Sardegna. Naturalmente, questo fatto è “cattivo da pensare”. Non piace. Molti storcono il naso. Specie quando gli ricordi che deve fare attenzione. Alla gente “piace” pensare che gli incendi siano solo di natura dolosa. Tuttavia questa leggenda popolare è particolarmente pericolosa, specie in periodo di siccità come questo, e occorre combatterla in tutti i modi per i rischi che comporta. Luogo comune dentro il luogo comune, raggiunge livelli propri di assurdità quello che vorrebbe la cicca di sigaretta accesa gettata in mezzo alle stoppie secche, incapace di appiccare il fuoco. L’idea che dell’erba secca che brucia all’interno di un involucro di carta non possa prendere fuoco a contatto con altra erba secca, è palesemente contraria ad ogni logica e ad ogni buon senso. E tuttavia questa leggenda, accompagnata da testimonianze immancabili di chi ha fatto le prove, è diventata luogo comune diffusissimo. Per cui le cunette delle strade si riempiono di cicche di sigarette gettate dal finestrino, e ogni anno centinaia, ripeto, centinaia di incendi, come se non ne avessimo già abbastanza, partono da quelle cunette. Ora, personalmente, provo lo stesso fastidio per un incendio doloso che per uno provocato da incuria e ignoranza. Anzi, forse il fastidio è maggiore per quest’ultima tipologia, perché evitabile con un minimo di impegno e coscienza. Ma perché così tante persone non accettano l’idea che un incendio possa essere anche colposo? Intanto molte persone non riescono a concepire che un incendio devastante possa essere partito da una piccola scintilla. La mente fa molta fatica a pensare che da uno smeriglio o da un cannello del gas, in campagna, possa essere partita la scintilla che poi ha scatenato l’inferno. E invece è proprio così. Inoltre viviamo in una società dove attecchiscono prima le suggestioni, le versione complottiste e dove si possono nascondere secondi fini, speculazioni, e altre motivazioni eccitanti. Una cicca di sigaretta è troppo banale e non eccita la fantasia. Vi è poi un fenomeno culturale, legato all’idea che debbano essere sempre “altri” ad occuparsi delle faccende problematiche, e mai ciascuno di noi. L’idea che il fenomeno degli incendi sia una chiamata di responsabilità collettiva, viene rifiutato a priori. È certamente molto più comodo inveire contro l’incendiario, contro il mostro, l’untore di turno. Ho notato che regolarmente, sotto la notizia dell’incendio, che spesso è colposo o accidentale, si invoca la morte dell’incendiario, senza neppure aspettare di conoscere la causa del rogo. L’odio verso l’incendiario assume così la dimensione della catarsi collettiva, che unisce il mondo dei buoni contro il mondo dei cattivi, da punire in modo tale da consentire lo sfogo delle frustrazioni accumulate con la vita moderna e le convenzioni sociali reprimenti. Perché rinunciare a questo rito collettivo così utile? Ecco allora tutto il campionario sfoderato delle torture, delle mani bruciate o tagliate, della morte lenta tramite lo stesso fuoco o, nella migliore dell’ipotesi, l’immancabile proposta di inasprimento delle pene, proveniente, spesso, dal politico di turno in cerca di visibilità. Dimenticando che il problema giudiziario di questo reato è l’individuazione del responsabile, cosa difficilissima, e non certo le tenuità delle pene che invece sono già state di recente aumentate e sono, al contrario, piuttosto alte. L’invocazione forcaiola contro l’incendiario, mossa spesso dalla sensibilità per la natura e l’amore per la propria terra, assume così i contorni di un sentimento di odio portato alle estreme conseguenze. E a me questa cosa fa riflettere molto, specie quando mi accorgo che, dietro la mano dell’incendiario, ci sono sempre storie incancrenite di odio e di vendetta.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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