Suona la sveglia alle 5 e l’alluce divaricato infila l’infradito al primo tentativo. Ti lavi i denti e il dentifricio sputacchiato scivola giù senza spiaccicarsi alla ceramica del lavabo. Scendi in strada e passi proprio mentre il netturbino intona quella canzone nella strofa che più ti somiglia… “Ceraseeella, Ceraseee’…”. Fai i biglietti alla stazione e il capo, che generalmente vuole monete, ha il resto di 20 euro e ti sorride e ti augura buona giornata. Scendi dal primo treno senza dover cambiare binario. Sali nel secondo treno e c’è odore di caffè… “Professoressa, ne vuole?”. Arrivi alla fermata del bus che apre le porte nel momento stesso in cui ti sei fermata per tirarti su i jeans (è poco elegante ma anche no). Scendi dal bus nei pressi del solito bar e toh! Il collega che… “Quanto zucchero, Rossana?”. Entri a scuola prima di tutti pensando di dover aspettare ma la segretaria è già lì per te. Consegni la modulistica ed è tutto perfetto, sei stata brava. Abbracci e baci tutti, ed è ancora odore di talco. Incontri sulla porta la collega burbera dai capelli cenere… Pensavi a lei giusto ieri. “Ehi, rossa, come va? Mi auguro di ritrovarti, carattere deciso, sei cazzuta”. Ritorni alla fermata del bus e ti perdi negli occhi di chi ti ricorda nonna, braccia giunco e orecchie grandi. Speri ti rivolga la parola. Lo fa. La aiuti a salire, sta andando dal figlio. La baci. Ti bacia. Scende piano. Si richiudono le porte. Sorprendi l’autista mentre ti osserva dallo specchietto e ti sorride ma non ne sei infastidita. Stai cercando di ricordare il nome del figlio della nonna del bus. Perché te lo ha detto, te lo ha detto di sicuro assieme alla ricetta delle zucchine al forno e alla tristezza per il divorzio della figlia femmina. Scendi le scale della stazione e il treno ha appena aperto le porte. Ti siedi dinanzi a un tizio ben vestito e con la pelle ambrata, la barba di due giorni e la giacca canapa. Invade il tuo spazio. Gambe aperte. Ci allunghi nel mezzo le tue. Così per oltre la metà del viaggio. Tu che ancora cerchi di ricordare il nome del figlio della nonna del bus e il tizio di fronte che prova a figurarsi il tuo… “Irene?” “Rossana” “Avrei scommesso Irene” “Avrebbe perso” “È bello Irene, vuol dire pace” “Lo so, insegno greco” “E Rossana, invece?” “Un po’ la cerca, un po’ la dà” “Cosa?” “La pace”. Ci sono giornate così, dagli incastri perfetti, di quelle che non ricorderai a chi ti chiederà di raccontarti un po’. Giornate cui manca tutta la disperazione della vita quando cerca di incastrarsi nelle tasche dei jeans, nei lacci delle scarpe, nello spazio tra i denti.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
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