Il divo avrebbe compiuto, oggi, 103 anni. Parliamo di Giulio Andreotti che ha accompagnato la politica di gran parte della mia vita. C’è sempre stato. Almeno questo ricordo di lui. C’era anche quando non appariva, quando tutto pareva girasse da un’altra parte lui era lì, silente, sinuoso, pronto a dire poche ma astute parole. Era lì perché rappresentava il potere, quello vero, quello che non logorava ma finiva per consumare gli altri. Era lì perché sapeva massaggiare la pancia del paese o, meglio, sapeva muovere molto bene i suoi capi bastone di una democrazia cristiana bene ancorata nel territorio. Era un fuoriclasse ma dava sempre l’idea svagata di quello che capitava lì quasi per caso: dalla politica italiana a quella estera, dalla politica sociale, agli intrighi di palazzo lui c’era. C’è sempre stato. Era una sorta di certezza per alcuni e di jattura per altri: “Chiedete a Giulio” poteva significare assoluzione o condanna assoluta. Era un fuoriclasse poco amato, un po’ come un grande giocatore che gioca per la squadra avversaria. Lo dipinsero come il diavolo, lo chiamarono Belzebù, lo accusarono di connivenza con la mafia, pensarono fosse il mandante dell’omicidio Pecorelli. Ricordava il numero uno del fumetto creato da Max Bunker, il malefico vecchio che tutto sapeva e tutto conosceva. E’ stato ministro, presidente del consiglio, sottosegretario ma mai e poi mai è diventato il capo formale della Democrazia Cristiana. Lasciava il compito di segretario di partito a quelli che raccontavano di politica. Lui la politica la faceva, la forgiava, la inventava. Visse di politica e per la politica. Credevo non morisse mai tanto che ad un certo punto – erano gli anni ottanta – promisi al momento della sua dipartita una cena ad un mio carissimo amico. Gli allungai la vita e ancora ci sorrido. Alla fine dei conti io sono vissuto con Andreotti per una vita e oggi, giorno del suo compleanno mi sembra quasi di vederlo goffo, fatalmente impreparato, distratto e dispensatore di un sorriso che dice a bassa voce: “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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