L’ho sempre immaginato un matrimonio d’amore intenso, vero, passionale. Fin da piccolo siamo cresciuti con il mito di Giuseppe Garibaldi e Anita. Sin da piccoli abbiamo sempre pensato che questo amore fosse quello giusto, quello da raccontare a tutti: il condottiero e l’eroina brasiliana Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, per tutti Anita.Quel matrimonio fu celebrato il 26 marzo 1842 nella chiesa di San Francesco d’Assisi a Montevideo. Sono passati la bellezza di 180 anni e tutto questo è storia e leggenda. Non parlerò di Garibaldi condottiero, eroe dei due mondi, di Caprera, della ferita in battaglia. Non voglio parlare neppure di Anita e della sua forza imperiale come donna vicino al prode e valoroso combattente. Anita donna forte e combattente, sempre al fianco di Giuseppe nelle tante battaglie vissute. Voglio, invece, parlare di ciò che muove gli esseri umani a difendere un ideale, a voler a tutti i costi morire per la patria, per il suo natio. E’ diventato, purtroppo, d’attualità questa grande forza di voler essere partigiani, di dire no al nemico che avanza. Garibaldi e Anita hanno rappresentato nella mia infanzia le persone che non mollavano. Erano dappertutto: contro le truppe imperiali brasiliane, a Venezia, a Roma, nelle valli di Comacchio. L’ideale, la voglia di esserci, di lasciare un’orma in questa terra dove si passa leggeri. Ecco, volevo dire semplicemente questo: Anita e Giuseppe sono coloro che hanno sognato patrie e popoli liberi. Mica poco. E non hanno mai pensato: armatevi e partite.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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