Non ho avuto un’infanzia di quelle con l’attesa delle feste consacrate. Di sacro nella mia famiglia c’è sempre stato ben poco, forse solo l’altarino dei morti sul marmo rosa della camera da letto che mia madre tuttora spolvera e venera, benedicendo l’invenzione dello Swiffer e del Paradiso allo stesso modo. Ogni tanto è costretta a stringere le immaginette sacre per far posto ad un altro caro. Estinto. E, allora, finiscono vicini sul comò parenti che, nella vita, mai sedettero l’uno accanto all’altro alle cene di Natale o ai pranzi di Pasqua.
Non ho avuto un’infanzia di quelle con l’attesa delle feste consacrate dicevo, tipo quelle con babbo che nasconde dietro le tende del salone la bici nuova tutta rosa o mamma che si fa tutti i negozi di giocattoli alla ricerca dell’ultima Barbie. Capita quando tu hai dieci anni e loro ne hanno già quaranta e cinquanta e, se i giochi te li nascondono per farti la sorpresa, magari si corre il rischio che, nel frattempo, abbiano dimenticato dove li han riposti. La cosa non mi ha prodotto grandi traumi e neppure esser figlia unica. Su ‘sta cosa dei figli unici deve esser successo qualcosa negli anni di cui né io né i miei genitori ci siamo resi conto, qualcosa che deve aver impegnato luminari, psicologi, preparatori atletici, docenti veri (con la ‘d’ illuminata come la scritta del casinò di Montecarlo, mica come me), assistenti sociali, oculisti, dentisti, nutrizionisti, Giggino ‘o macellar in studi e ricerche che abbiano, infine, riconosciuto nella ‘figliunicità’ una malattia. Lo dico perché, in tanti anni che insegno, ho sempre quei cinque o sei genitori a quadrimestre che, sulle dolenti note, ti si avvicinano e ti sussurrano “Sapete com’è, è che è pure figlio unico…”. Come se fosse un handicap. Se avesse avuto un fratello di sicuro avrebbe avuto otto alle versioni di greco e latino, penso. Ma, poi, ti vengono pure i genitori di quelli che i fratelli ce li hanno e, sulle dolenti note, ti si avvicinano e ti sussurrano “Sapete com’è, è che c’ha il fratellino che gli tira sempre le pagine dal vocabolario…”. Forse sto uscendo fuori traccia. Dicevo: non ho avuto un’infanzia di quelle con l’attesa delle feste consacrate, ma a Pasqua l’uovo lo aspetto anche oggi che di anni ne ho quaranta. Un anno, eravamo piccoli, nemmeno dieci anni a testa, i nonni materni ne regalarono a me e a mio cugino. Non era ancora il tempo delle uova con la carta rosa per le femminucce e la carta azzurra per i maschietti. E a me andò male. Io e Pino scartammo le uova con la stessa smania e la stessa curiosità, ma la sorpresa esaltò l’uno e prostrò l’altra. Due macchinine con gli sportelli apribili, stesso modello, stesso colore. Nemmeno un colore diverso da poterle distinguere in una gara di corsa, ricordo che pensai. Pino no, Pino non ci pensò. I maschi non pensano. Ci rimasi malissimo. Cioè, voglio dire, toglieteci tutto ma non la sorpresa. “Dai, facciamo la corsa!” esordì Pino “E come le distinguiamo, chiochero?” sbottai io. Pino si zittì. Gli si dipinse sul volto la stessa espressione che, poi, ho visto negli anni sulla faccia di qualche altro chiochero maturo. Stava lì lì per frignare quando ebbi un’idea. L’altarino di mamma era affollato già allora. Presi l’immaginetta di un amico di papà che era volato in cielo pochissimi giorni prima. La estrassi dalla plastica, ne rilessi velocemente la preghiera sul retro, ne ritagliai solo il volto e lo incollai allo sportellino apribile. La mia macchinina aveva un pilota! Ovviamente l’idea piacque anche al chiochero di mio cugino. Feci lo stesso con un’altra immaginetta. Un lontano zio di papà. Era morto ultranovantenne, di sicuro non aveva i riflessi pronti come l’amico di papà fresco fresco di morte. Mio cugino era spacciato, la gara l’avrei vinta io. Ricordo che, quando mamma scoprì la marachella, ne fu quasi felice. Ora aveva due posti liberi. Papà se ne accorse molti giorni dopo. Ritornava dal trigesimo dell’amico e, passando dall’altarino, non ne vide la foto. “Raffaeli’…” “Io non so niente!” “Ma se neanche ti ho fatto la domanda…” “E tanto già lo so che la colpa è sempre mia!” “Ma Ciruzzo addò sta?” “…” “Raffaeli’…” “Addò sta, addò sta! Io mò con tutte le cose che tengo da fare mi metto appresso a Ciruzzo a vede’ che va facenn!” “Ma prima di Pasqua stava qua e mò non c’è più…” “E si vede che sarà resuscitato!” “Dopo trenta giorni dalla morte???” “E certo! Dopo tre giorni solo Cristo”.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
16marzo1978: il giorno in cui persi l’innocenza. (di Giampaolo Cassitta)
Cutolo e l’Asinara (di Giampaolo Cassitta)
Gatti, amore e carabinieri. (di Giampaolo Cassitta)
Buon compleanno Principe! (di Giampaolo Cassitta)
Hanno vinto davvero i Maneskin! (di Giampaolo Cassitta)
Break news: Fedez e Francesca Michielin vincono il Festival di Sanremo.
Grazie dei fior. (di Giampaolo Cassitta)
Hanno vinto i Maneskin. Anzi, no. (di Giampaolo Cassitta)
Capri d’agosto (di Roberta Pietrasanta)
Il caporalato, il caporale e i protettori (di Mimmia Fresu)
Marshmallow alla dopamina (di Rossella Dettori)
377 paesi vivibili (di Roberto Virdis)
Per i capelli che portiam (di Mimmia Fresu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 17.631 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design