Sulla morte di Licio Gelli circola sul web una battuta: “La sua salma sarà insabbiata”. In realtà, è la stessa battuta partorita da uno degli autori di Spinoza.it cinque anni fa, quando venne a mancare Francesco Cossiga.
Il che dimostra come i due defunti, nel loro percorso terreno, abbiano coltivato interessi comuni e lasciato ombre lunghe e simili: anche questo è un dato storico. Licio Gelli era tutto quel che un giornalista o uno storico avrebbero voluto scrivere ma non potevano scrivere, limitandosi a fare balenare ipotesi mai dimostrate come verità. Lo si volle coinvolto in ogni complotto o singolo atto della strategia della tensione: la strage di Piazza Fontana, nel 1969, il fallito golpe di Junio Valerio Borghese nel 1970, l’attentato di Piazza della Loggia, cinque anni dopo, il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, la bomba alla stazione di Bologna del 1980 e la morte del banchiere Roberto Calvi, trovato impiccato a Londra nel 1981, mentre era in corso lo scandalo del Banco Ambrosiano. Decine di magistrati indagarono su di lui e qualche volta alla giustizia sfuggì, scappando dall’Italia. Lo si disse amico dei dittatori sudamericani e sostenitore del cileno Pinochet, Francesco Cossiga testimoniò di averlo visto trafficare alla Casa Bianca, accreditandone l’idea di un uomo dal potere sovranazionale. Però, alla fine dei conti, di tutto quella gran montagna di misfatti di cui lo si immaginava “gran burattinaio” restarono in mano solo indizi e sospetti, come dimostra il fatto che Gelli sia in definitiva stato condannato per reati irrisori rispetto alle accuse. E ci sono degli storici che lo considerano solo un capro espiatorio, una specie di Andreotti extraparlamentare cui far risalire ogni possibile domanda irrisolta. Forse i più giovani non sanno manco chi fosse Licio Gelli, morto poche ore fa all’età di 96 anni, a Villa Wanda. Gelli è stato un fascista, un venditore di materassi alla Permaflex, è stato soprattutto il fondatore della Loggia P2. Una congrega clandestina di personalità di prima grandezza della Repubblica – ma forse la erre andrebbe minuscola – scoperta ad Arezzo nel 1981, mentre si indagava sul crack finanziario del banchiere siciliano Michele Sindona, poi assassinato in carcere. In quegli elenchi dissepolti dal magistrato Gherardo Colombo c’erano generali delle forze armate, prefetti, il direttore del Corriere della Sera, imprenditori d’assalto come Silvio Berlusconi e tanta altra gente molto influente. Che interesse aveva, questa gente, a stare assieme? (posto che secondo diverse fonti quegli elenchi erano incompleti e ad indossare il cappuccio erano molti di più). Erano, questi uomini, tutti anticomunisti e tutti fortemente interessati a far sì che la storia italiana proseguisse il corso ad occidente, in anni in cui l’avanzata del più popolare Partito comunista d’Europa pareva inarrestabile, nonostante Berlinguer si sentisse più sicuro sotto l’ombrello della Nato. Tenere l’Italia sulla sinistra del mappamondo, ma solo del mappamondo, era operazione che comprendeva il condizionamento dell’opinione pubblica (ed ecco la funzione dei giornalisti), l’uso delle forze armate e delle loro ambigue relazioni per depistare e sopprimere, degli uomini della finanza per alimentare progetti e azioni, anche fuori dall’Italia. Ricordiamoci che erano affiliati alla P2 i due generali Musumeci e Santovito, condannati per un grossolano depistaggio nelle indagini sulla strage di Bologna. Che interesse potevano avere a fare credere che le cose fossero andate in un certo modo, anziché in un altro? Sulla bacheca Facebook di Silvia Pinelli, figlia dell’anarchico e martire Pino, ho letto che “morto il burattinaio, forse i burattini parleranno”. Non lo credo, Troppa gente di quella congrega è viva, vegeta e comanda ancora. Certe verità io temo non le sapremo mai. Possiamo solo immaginarle, perché il buon senso e l’esperienza ci portano a conclusioni plausibili, se non chiare. E si può immaginare che anche Gelli rispondesse a qualcuno, troppo in alto perché noi comuni mortali fossimo in grado di vederlo. Il Piano di rinascita della P2 è abbastanza simile a certi programmi di governo visti negli anni novanta, per dire. “Io so”, diceva PPP, però non posso dirlo perché non ho le prove. Lo sapeva bene anche Licio Gelli.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo e-book "Cosa conta".
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