Il personaggio del giorno di oggi è sicuramente M.M., l’impiegato del Policlinico Umberto I di Roma licenziato perché dopo aver timbrato regolarmente il cartellino usciva dall’ufficio per farvi rientro solo nel pomeriggio. Scoperto dal Dirigente è stato sottoposto a procedimento disciplinare e, successivamente, licenziato. La notizia, di suo, non è da “prima pagina” ma sarà sicuramente urlata durante l’Arena di Giletti. La notizia invece – dal mio punto di vista – è tristissima perché denota una poca serietà per chi ti da l’opportunità di lavorare, poco rispettosa per chi il lavoro non ce l’ha e molto semplicistica per chi la butterà in pasto all’arena virtuale dove il buon M.M. sarà additato e dato in pasto alle fiere dai polpastrelli veloci. M.M. ha sbagliato e meritava il licenziamento. Lo dico subito per sgombrare il campo da tutti i dubbi che potrebbero nascere da una lettura frettolosa e superficiale . Quello che mi sconvolge non è l’atto amministrativo che ha decretato il licenziamento ma il modo con il quale M.M. si è goffamente e italianamente difeso. Il licenziato ha impiantato una difesa davvero improponibile: risultava regolarmente in servizio tutto il giorno ma fisicamente, in ufficio, di lui non c’era nessuna traccia. Il Dirigente ha provato a bussare la porta chiusa a chiave, ha urlato ripetutamente il suo nome, ma la porta è rimasta irrimediabilmente chiusa. Perchè? M.M., degno di un giallista di provincia, ha tirato fuori questa giustificazione: si era allontanato un attimo per spostare la macchina in doppia fila (altro sport tutto italiano) ed è subito rientrato. Si è chiuso nella sua stanza perché doveva “evadere le svariate e centinaia di impegnative sanitarie accumulate sulla scrivania (chissà perché) e non ha sentito il bussare del Dirigente e la sua voce perché per “concentrarsi meglio ha usato le auricolari” e non ha aperto alla porta convinto fossero utenti a lui indirizzati da un’altra cassa ticket. Chiaramente la difesa non ha retto e M.M. da ieri è senza lavoro. Ha anche tentato, da buon italiano, di impugnare la decisione partendo dal presupposto che la Consulta aveva bocciato ben 4 articoli della legge Madia, bocciatura che non intacca però la piena efficacia dei decreti. Insomma, da buon italiano cavilloso al midollo ci ha provato fino alla fine. Mi indigno non perché M.M. facesse il furbo (direi che dovrebbe essere indagato anche sotto il profilo penale, visto che si può configurare il reato di truffa) ma perché ci riempiamo la bocca e gonfiamo di insulti quotidiani i nostri politici inetti che non lavorano, i dirigenti che guadagnano e non producono però, poi, sotto sotto c’è chi distrugge il servizio pubblico e getta in cattiva luce chi, quotidianamente svolge con regolarità e, diciamolo, a volte con passione, il proprio mestiere. A condannare M.M. non dovrebbe essere solo il datore di lavoro ma, soprattutto, i suoi colleghi che a quanto pare hanno taciuto sulle irregolarità del loro collega dicendo, magari “è tutto uno schifo, nessuno fa mai niente” e poi, rientrati a casa, subito ad insultare la Lorenzin che fa il ministro e non è neppure laureata. Mah.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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