Ho trovato finalmente in cantina quelle viti.
Da tanto le cercavo, erano nascoste in un angolo in fondo, dietro a tutto, avvolte in carta di giornale. Nello scartarle, leggo, in alto: Corriere della Sera, 23 agosto 2013 ed, in basso, noto una faccia di pecora che mi guarda. Toh, un articolo di Angelo Panebianco.
articolo Gregari e Spiriti Liberi
A me, non so perché, ha fatto venire in mente questo racconto. Ma di sicuro non è andata così.
Il Direttore del giornale, seduto alla scrivania, era assorto nella lettura di un pezzo, fra mille ritagli, appunti, cartelle. Il caffè dimenticato, ormai freddo, riempiva metà della tazzina, ed un paio di gocce avevano sporcato l’ultimo foglio di una delle pile di carta che in parte gli ingombravano la visuale verso la porta chiusa. Il telefono lo distolse: “Si, Pronto?”
“E’ lei Direttore carissimo? Buongiorno, sono l’Editore”.
D: Buongiorno a lei, Dottore, è un piacere sentirla
E: Anche per me, mi creda, anche se i tempi, come lei mi insegna, sono duri. Come va in redazione?
D: Mah… il solito lavoro. Sto per andare in riunione per mettere ordine fra le ultime notizie… ha ragione, è un periodo difficile.
E: Eh, immagino. Sa, Direttore, ho sempre pensato che la stampa abbia un ruolo fondamentale, e dico fondamentale, per sorvegliare la nostra democrazia, non trova?
D: Beh, certo, è uno degli aspetti del nostro mestiere.
E: Esatto! E i tempi sono così difficili che il vostro ruolo è ora più che mai essenziale. Sa quanto ci tengo, io, alla libertà di pensiero!
D: Si, certo, Dottore.
E: Senta Direttore, parlavo qualche giorno fa a questo proposito con degli amici, tutte persone autorevoli… non sto adesso a fare nomi, per correttezza, e sa cosa mi hanno detto?
D: Mi dica.
E: Che con la crisi che c’è in questo paese di pecoroni qui non ne usciamo… erano tutti fior di imprenditori, sa, quelli che hanno fatto l’Italia, mi capisce?
D: Sì, capisco.
E: Ecco, dicevo, questi signori -guardi, delle ottime persone- sa cosa mi hanno detto? Tutti la stessa cosa: che i tempi sono troppo difficili! Mica come una volta che in un paio di giorni con due permessi ti aprivi una fabbrichetta e assumevi gente quando e come volevi! Invece ora…mi segue?
D: Sì, la seguo.
E: Beh, ci siamo capiti: autorizzazioni, controlli su controlli, permessi, vincoli, ispettori del lavoro e della sicurezza…. E poi ancora Vigili del fuoco, Nas, Soprintendenza, Guardia di Finanza… ecco, per non parlare delle tasse… quelli ti inseguono fino a casa! Si domandavano, quei poveretti, dove andremo a finire…e hanno ragione, da vendere, hanno ragione! Insomma, di questa burocrazia non se ne può più!
D: Capisco, Dottore. E’ una lamentela che raccolgo da più parti. Certo, ci vorrebbe qualche snellimento e una maggiore cooperazione fra gli Enti dello Stato…
E: Eh, altro che cooperazione…
D: Ma…vede, i tempi sono cambiati: quelle che alcuni considerano inutili complicazioni sono le regole della convivenza, per il rispetto della legalità, sono le regole per la tutela della salute dei cittadini, dei lavoratori o dell’ambiente… insomma, sono i diritti delle persone, quell’insieme di regole che ci rendono un paese civile…
E. Ma che civile e civile! Questo Stato ci vuole distruggere! Non mi dica, Direttore, che mi sta dalla parte dei burocrati?
D: Ma no, che c’entra! Dico solo che capisco una certa insofferenza alle norme… certo, sono perfettibili, alcune sono anche farraginose, è vero, ma la realtà è complessa e…
E: Beh, insomma, Direttore, per me la realtà è questa: qui c’è un problema serio di crescita e di sviluppo, mica chiacchiere, con le chiacchiere non si va da nessuna parte! La gente lo deve capire che quando i tempi sono duri lo Stato deve farsi da parte e lasciare fare a quelli che sanno fare!
D: Sì, capisco, ma, se mi permette, c’è anche un altro aspetto, da considerare: lo Stato siamo noi, e tutti abbiamo il dovere del rispetto delle regole, e poi… insomma: qualcuno che controlli ci vorrà pure, no? E anche, aggiungerei, soprattutto a difesa di quelle regole e di quei controlli che sono a tutela dei più deboli, ed in un momento di difficoltà come questo, a maggior ragione, non trova?
E: Guardi, i momenti difficili ci sono per tutti, non me lo deve insegnare lei! Ora le dico: qui c’è bisogno che la gente si convinca che non ci sono alternative: più sacrifici, meno regole, meno “diritti”. Che poi, per me, diritti… altro che diritti! Sono solo privilegi, o sprechi, ecco cosa sono! Insomma, ci vuole meno Stato. Ed io confido molto su di lei.
D: Capisco. Se vuole posso riportare la sua opinione sul giornale, anche in un’intervista in prima pagina….
E: No, no…ma che intervista, Direttore! Facciamo così: lei mi scrive un bell’articoletto, di quelli nell’inserto cultura, ma un po’ leggero, eh, di quelli che la gente legge con piacere, tutto d’un fiato…che sembri proprio una riflessione evidente, ecco… buttata lì…
D: Beh, sempre dell’inserto della cultura si tratta, mica una cosa da bar…
E: Sì, sì, quello che vuole. L’importante è che sia semplice, facile facile. Si inventi due categorie: i belli e i brutti, i buoni e i cattivi, i soldati e gli indiani, veda un po’ lei, insomma due categorie in cui sia facile immedesimarsi dalla parte giusta… mi segue?
E: Ecco, bravo! I buoni, o come li vuole chiamare lei, devono sostenere che non se ne può più della burocrazia, dello Stato invadente, che bisognerebbe essere più liberi…sì, liberi, che è una bellissima parola. Aggiunga che ci vogliono meno regole …e poi che tutti hanno il diritto alla felicità eccetera eccetera…mi ascolta, Direttore? Direttore? Direttore!
La sua mente, intanto, vagava, altrove. Ritornava al liceo, a lui ragazzo, agli studi sull’etica, sulla bellezza e sull’arte, alle serate passate con gli amici a parlare del mondo che sarebbero riusciti a cambiare, e poi agli studi in legge, e a quelli da giornalista, agli ideali che lo avevano formato, alla passione per il suo mestiere. Così, pensava, mentre con sguardo sfuocato scrutava la stanza e lo posava sulla libreria davanti a sé, nella mezz’ombra, vicino alla finestra. Fissava, senza vederli, i libri allineati di storia, i saggi, le collane della letteratura italiana, le fotografie che lo ritraevano nell’atto di stringere mani fino a quelle più recenti con la sua famiglia. Su quelle si soffermò impercettibilmente più a lungo, lasciando il tempo allo sguardo di accomodarsi sui visi sorridenti. Poi, stancamente:
D: Sì, l’ascolto, prosegua.
E. Ecco, ci vuole un articolo così. Perché sa, bisogna educarlo questo popolo di pecoroni, So che lei è bravissimo, Direttore.
D: Sì, certo.
E: Benissimo! Lo sapevo che potevo contare su di lei! Due righe, eh, per carità, non mi permetto mica di insegnarle il suo mestiere. Sono convinto che ha capito benissimo lo spirito di collaborazione e il rispetto con il quale mi sono permesso di disturbarla questa mattina e…
Rivolse infine lo sguardo alla finestra, da cui si scorgevano i tetti della città frenetica che ora gli sembrava quieta, immobile, come in attesa. Rimise a fuoco, a poco a poco, i dettagli della stanza, uno ad uno, dal più lontano al più vicino, finché la sua attenzione si concentrò su quelle due gocce di caffè in cima alla pila di fogli, proprio accanto a sé, che prima non aveva notato. Con la punta dell’indice, lentamente, quasi con delicatezza, le toccò, e con l’opposizione del pollice se le spalmò come fossero crema sui polpastrelli. Appoggiando la schiena alla poltrona, ne annusò il profumo, le assaggiò, guardò di nuovo fuori, inspirò.
D: Dunque: sì, d’accordo. Per l’articolo, vedo quello che posso fare. Per domani ho molti impegni, credo di non farcela. Vedrò se riesco ad inserirlo ed a farlo scrivere ad un opinionista.
E: Molto bene! Allora la saluto, mi saluti anche la sua signora, e non si dimentichi che l’aspetto quest’estete, eh! non si formalizzi!
D: Grazie, la saluto anch’io, buona giornata.
Il telefono tornò al suo posto, mentre la mente vagava ancora, piena di risposte non date e con in bocca l’aroma amaro di caffè. Si alzò, e si diresse verso la libreria, quasi a cercare conforto, come consapevole di essere un funambolo senza rete, in bilico fra la volgarità del presente e le aspirazioni del passato. Si accostò alla vicina finestra: la città era sempre lì fuori, ferma, che aspettava. Tornò alla scrivania, ed accelerando i movimenti, come fa chi ha preso una decisione, si sedette di scatto, e si mise a spostare dei fogli, come per cercare qualcosa. Un attimo dopo, prese il telefono e chiamò Panebianco.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
3 ottobre 2013: la strage di Lampedusa (di Giampaolo Cassitta)
Il prete e il povero (di Cosimo Filigheddu)
I giornali di oggi (di Cosimo Filigheddu)
La mia ora di libertà (di Giampaolo Cassitta)
A vent’anni si è stupidi davvero. A 80 no. (di giampaolo Cassitta)
La musica ai tempi del corona virus: innocenti evasioni per l’anno che verrà. (di Giampaolo Cassitta)
Guarderò Sanremo. E allora? (di Giampaolo Cassitta)
Quel gran genio di Lucio Battisti (di Giampaolo Cassitta)
Capri d’agosto (di Roberta Pietrasanta)
Il caporalato, il caporale e i protettori (di Mimmia Fresu)
Marshmallow alla dopamina (di Rossella Dettori)
377 paesi vivibili (di Roberto Virdis)
Per i capelli che portiam (di Mimmia Fresu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 17.697 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design