Adesso non me lo ricordo se era Asciuttacubi o Ziccudditu, però uno dei due aveva vinto questo premio a Roma e il 27 novembre di un anno tipo il ’59 bisognava imbarcarsi per andare a ritirarlo. E ci andarono insieme a prenderlo. Ora tu credi che l’altro era geloso perché due pittori grandi che vivono in una città piccola si devono prendere a morsi a faccia. Macché! Compari d’anima. E di tazza. Di tazze. Asciuttacubi gli dicevano “professore” perché insegnava in qualche scuola dove alla campanella del finis lo svegliavano e lo riportavano a casa con l’Ape; Ziccudditu era solo “maestro” perché dipingeva e basta. “Li dui pintori” era l’ingiuglio che li faceva coppia non solo nella vita ma anche sul palcoscenico della città. Ché i sassaresi, rompicoglioni come sono, avevano lasciato questo equivoco semantico perché “pintore” vuol dire pittore, ma a Sassari se devi rinfrescarti i muri di casa chiami uno che si dice ugualmente “pintore”. E a chiamarli imbianchini era un’ingiustizia ché lo dicevano anche i giornali in Continente che quei due erano proprio bravi. A Olbia giunsero in condizioni di emergenza cognitiva. Erano saliti sul treno già non sincari. A Chilivani avevano imbarcato due boccioni. All’arrivo invece di starsene secchi e pesti nel vagone che va piano piano sino all’Isola Bianca con tutti gli imbarchi, scesero in città. Al chiosco delle cozze mostrarono i biglietti per una cabina doppia di seconda classe sul piroscafo “Città di Nuoro” con rotta Civitavecchia. Il cozzarolo era uno iracondo e si mise subito in guardia perché credeva che quei due lo volevano pigliare per il culo. Ziccudditu parlò con voce incerta ma cortese – Pa’ piazeri, undì dubimmu andà pa azzà i’ lu vapori? -Pa abali andeti a piddhavila in culu. Asciuttacubi si riscosse. Viveva un momento salgariano. Da qualche mese l’aveva presa con la Tigre della Malesia, non pensava ad altro. Aveva pure raffigurato a olio e tempera l’avvocato Puggioni nei panni di Yanez che si accende l’ennesima sigaretta e quello non voleva pagargli il ritratto commissionato -E acchì m’ai fattu visthudu a carazza chi paru a Troiani? -Ignorante! L’avvocato, offeso, aveva citato Eduardo De Filippo con aggiunta -No ti pagu un cazzu! Asciuttacubi aveva brandito una bottiglia di Vecchia Romagna Etichetta Nera casualmente vicina al cavalletto -Vile mezzosangue (l’avvocato Puggioni era di origini portotorresi), escimi il dovuto o questa scimitarra berrà il tuo sangue. Insomma, il professor Asciattacubi affuttato a morte affrontò il cozzarolo e incitò l’amico che si era estraniato osservando il boccione di rosso che il venditore teneva per la degustazione delle cozze -O miei thugs, facciamo rimangiare gli insulti a questo cane inglese. Il pescatore non capì un cazzo ma colse l’atteggiamento minaccioso e partì di pugno a faccia sbagliando mira e prendendo Ziccudditu, poveretto che era zitto, sul quale si chinò l’amico -Yanez, Yanez, fratellino, ma ti vendicherò. Il rude gallurese stava per aggiustare la mira quando comparve un prete. Era don Caspio, continentale accudiddu, napoletano in mandamento temporaneo a Terranova per confessare il personale della Tirrenia perché i preti locali non ne capivano un cazzo di come parlavano. Don Caspio aveva conosciuto Ziccudditu a Sassari quando aveva partecipato alla cerimonia di scoprimento di un affresco del pittore in una chiesa di periferia. -Maestro, maestro, che facite accà, che vi passa? In breve. Don Caspio caricò tutti e due sul cassone del triciclo a motore di un suo parrocchiano e li portò sino alla passerella della “Città di Nuoro” che stava già per salpare. I due pintori rabboccarono i serbatoi al bar del piroscafo e quindi si guardarono intorno. Asciuttacubi era ammirato -Beddu chisthu vapori, e tu a lu sabaristhi purthà? -Cumenti una Lambretta. Scavalcarono (chissà come) la catenella e arrivarono alla cabina di comando che c’era il comandante in persona. -Capo, a glielo fa fare un giro al mio amico che già lo sa portare il piroscafo. -Come siete entrati? Fuori di qui! Ziccudditu ritenne che il comandante facesse così perché non si fidava delle sua abilità di pilota e tirò fuori dal portafoglio una patente C rosa stinto e picchiettato di Cagnulari Vendemmia Tardiva di Sorso -Aiallu, capo. Cu chistha possu purthà puru lu tram di Pani. Il comandante chiamò gente ma i due fuggirono per le scale e i corridoi della “Città di Nuoro” inseguiti da una torma di marinai Tirrenia e Asciuttacubi si voltava incitandoli -A me, tigrotti! Insomma, alla fine li catturarono e li chiusero a chiave nella loro cabina e un cameriere ogni tanto entrava a controllarli ma non ce n’era bisogno che si erano spalmati uno nella cuccetta e uno in terra e li sentivano surragare anche i pesci sott’acqua. Quando all’alba passò il cameriere sbattendo le chiavi sulle porte della cabine -Civitavecchiaaaa, Civitavecchiaaaa e tutti i passeggeri sonnacchiosi cominciarono a prepararsi allo sbarco, ai due non gliene passò manco per le balle. Furono svegliati da uno del personale di bordo che voleva cambiare le lenzuola -Usatm’ a cortesi’ d’alzarv’ ch’ simm’ approdat’ d’ n’ore. I due si precipitarono sul molo cercando il Treno dei Sardi che portava da Civitavecchia a Stazione Termini e videro invece il bar sotto la grande torre antica. Vi fecero sosta e infine trovarono il Treno dei Sardi che già si muoveva. A dire il vero lo vide solo Ziccudditu che afferrò la valigia che avevano in comune, un enorme e vecchio arnese di cuoio coperto di etichette di alberghi famosi di tutta l’Europa che loro si facevano regalare dai conoscenti che viaggiavano davvero, e balzò sul treno. Asciuttacubi si guardò ai piedi -Cazzu, m’ani furadu la barisgia. Che era scomparso anche l’amico non gliene passava per le balle. Fermò una coppia di carabinieri e denunciò -I sicari del Rajah Bianco di Sarawak me ne hanno fottuto la barisgia. I carabinieri, più che altro per levarselo dalle balle, lo portarono alla Polfer dove lui descrisse minuziosamente la valigia. La bagassa sua, era ubriaco di manzanu chizzu tanto da non accorgersi che l’amico era scomparso, ma seppe descrivere ai poliziotti le etichette una per una. -…e daboi, addareddu, v’è chissa dell’Excelsior di Vienna, cu lu muzzighiri di chissu imperadori ca… -Basta, basta, professore, abbiamo già telegrafato le informazioni a Stazione Termini: non si sa mai che il ladro sia salito su quel treno che lei ha perso. Qualche ora dopo, all’arrivo a Termini, Asciuttacubi si rinfrancò al bar e quindi udì l’altoparlante -Il professor Asciuttacubi proveniente da Civitavecchia si presenti urgentemente al posto di Polizia Ferroviaria. Asciuttacubi diede cento lire a un facchino che lo coricò sul carrello e lo depositò alla Polfer. Lo accolse un poliziotto che con largo gesto indicò la valigia e Ziccudditu con i ferri ai polsi -Abbiamo preso il ladro e recuperato la valigia. Asciuttacubi abbracciò l’amico -Ziccudditu meu, eu cridia chi t’abussia pessu. Balle, ché non si era neppure accorto che era scomparso. Ziccudditu lo respinse -Ah, l’amigu meu m’a tradidu! Ah, l’amicu meu m’a cunsignadu a la giusthizia. Insomma, alla fine li buttarono fuori tutti e due a calci in culo e li imbarcarono per Olbia-Isola Bianca con foglio di via obbligatorio. Il premio, visto che il vincitore non si era presentato, lo dettero all’astrattista Piero Dorazio. E a Sassari quando lo seppero dai giornali commentarono la scelta. Non vi dico con quale rima. Quasi rima, anzi.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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