Ho riflettuto molto sull’idea di sindacato e mi sono rivisto appena assunto e iscritto alla Cgil. Era il 1983 e i nomi dei leader erano quelli di Lama, Carniti e Benvenuto. Pier è morto da qualche giorno e con lui è scomparso un modo diverso di essere e fare sindacato. Lo dico senza enfasi e retorica, però quelli erano davvero altri tempi, dove si partecipava attivamente alle riunioni, ci si intestardiva sulle linee del sindacato, sulle strategie da adottare negli interessi dei lavoratori. C’era, dentro quel sindacato, l’idea di una democrazia diretta, partecipativa e c’era la certezza che dei soprusi, delle angherie, delle ingiustizie se ne sarebbe occupato il sindacato. Personalmente non avevo padroni ma solo datore di lavoro, però avevo la consapevolezza che il sindacato fosse il modo giusto per partecipare all’interno del mercato di lavoro. Sono stato rappresentante sindacale e ho subito qualche ingiustizia, ma non ho mai pensato di mollare o di insultare l’avversario; il rispetto a quei tempi era quasi un dogma, ma non si poteva e doveva abbassare la testa davanti al padrone o al datore di lavoro. Questa frase, bellissima e attribuita al grande Di Vittorio, è stata pronunciata l’altra sera nella trasmissione televisiva “Propaganda Live” da un sindacalista: Aboubakar Soumahoro, bracciante livoriano di 38 anni, con una laurea in sociologia ottenuta in Italia e idee chiare e tutte condivisibili. Soumahoro è giunto in Italia attraverso la Francia con un volo di linea e un visto turistico (questo per far capire a Salvini che mica tutti i migranti giungono nei barconi) e ha cominciato a lavorare in Calabria, nei campi. Guadagna al massimo 600 euro al mese, così come il suo amico e collega sindacalista Soumayla Sacko, ucciso nei campi dove lavorava. Un omicidio ancora molto oscuro e dai risvolti tutti da verificare. Entrambi erano ‘regolari’, avevano un permesso di soggiorno. Entrambi provavano a raccontare la loro storia, dentro la maledetta gabbia prodotta da due leggi italiane: la Turco-Napolitano e la Bossi-Fini. Oggi Aboubakar ha rilasciato una bellissima intervista al quotidiano “La Repubblica” e mi ha colpito una risposta bellissima e terribile nello stesso tempo. Si parla di razzismo, Aboubakar risponde al giornalista che “ in Italia c’e il razzismo e la situazione è peggiorata con la crisi perché molti di quelli che si sono impoveriti hanno cominciato a pensare che la colpa dello loro disgrazie fossimo noi. Hanno cominciato ad urlarmi per strada:”Negro, vattene nel tuo paese”.Due volte, sugli autobus, agli insulti hanno aggiunto le botte”. Come ha reagito Aboubakar? La risposta è il condensato di una lezione altissima che vorrei annoverare nel pensiero della sinistra, quella che ci teneva davvero alla sua gente e alla condizione sociale dei lavoratori: “Ho deciso di studiare”. Eccola la lezione che i plenipotenziari di una sinistra in agonia dovrebbero ripassare. Quelle parole, quell’amore per Di Vittorio, per chi faceva il sindacalista nel sud italiano, che denunciava il fatto che i profitti si alzano e i salari non li seguono, che non è possibile, nel 2018, assistere a questa mattanza sociale di cittadini lavoratori sfruttati e minacciati, che la sinistra ha delle colpe enormi e che dovrebbe ripartire proprio dai fondamentali. Quelli che ci ha ricordato il Dr. Aboubakar Soumahoro, sociologo, bracciante agricolo, che ha disegnato con i suoi pensieri il possibile orizzonte ad una sinistra toppo lontana dalle cose ‘di sinistra’, ad un sindacato troppo occupato a sopravvivere e poco attento alla lotta per i lavoratori. Pier Carniti ci ha lasciato da qualche giorno ma il Dr. Aboubakar è un degno successore. L’unico, finora, con un pensiero lucido sulle condizioni dei lavoratori, dei braccianti agricoli. Non è facile ripartire ma, come suggerisce Aboubakar, dobbiamo studiare e la sinistra per battere un colpo deve cominciare a farlo.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design