Arrivavano su grandi camion dal cassone malamente protetto da una capanna di grossi teli da cui uscivano i muggiti e i belati e i grugniti dei condannati a morte. Io la storia del Mattatoio la incollo a questi miei ricordi di ragazzino. E’ uno degli edifici costruiti nella seconda metà dell’Ottocento per stare vicino alla città, per comodità; ma discretamente fuori, per decenza. Come il carcere di San Sebastiano. Non era opportuno che dentro le mura ci fossero porci scannati e cristiani incatenati. Ma poi a poco a poco la città li ha assorbiti. Via Roma con annessi e connessi di vie parallele e traverse da piazza d’Italia si è allungata sino a incistare prima la galera e poi, sempre più su, il mattatoio. E così quando io ho cominciato ad aggirarmi per Sassari quei due luoghi che puzzavano di sofferenza erano già due monumenti nella nostra memoria cittadina, irrinunciabili nei nostri affetti e affrancati nel nostro immaginario da quell’aria brutta che pure intuivi essere oltre le alte mura. C’erano dei giorni della settimana, non so più quali e non so perché, in cui quei camion di bestie al macello erano più frequenti. Noi eravamo ragazzi che dovevano dimostrare di essere duri e dal cuore forte e quindi inghiottivamo il terrore di quei grandi occhi neri che vedevamo sbucare dai cassoni, occhi pieni di paura che vedevano per la prima e ultima volta lo strano paesaggio di macchine, di palazzi e di persone, tante persone, anziché quei pochi uomini che cupi e pensierosi fino ad allora li avevano accuditi. Alcuni, i più giovani degli accompagnatori, non conoscevano ancora la città e capitava che ci fermassero e a voce bassa, guardandosi intorno, ci chiedessero nelle più disparate varianti linguistiche sarde -E dove sono le bagasse? Se eravamo in viale Dante vicino all’angolo con via Duca degli Abruzzi, a fianco del Mattatoio dove avevano appena lasciato le bestie, c’era poco da pigliare per il culo. Lì per anni ha urlato sul muro di un palazzo una gigantesca réclame in tinta nera che nessuno chissà perché cancellava: “Qui bagasse”. E in effetti dopo una certa ora del pomeriggio stavano proprio lì, specialmente nei giorni di macello, attribuendo a questo rito sanguinario anche un altro significato metaforico ma altrettanto brutale. Proprio di fronte c’era la fermata del “tram” (in realtà era un bus) e alla mattina si formava una fila di oneste infermiere, impiegate e donne delle pulizie che attendevano il mezzo e occhieggiavano un po’ infastidite la grande scritta che sembrava indicarle. Ma se non eravamo in viale Dante, dove ci avrebbero sgamato subito per via del graffito, allora non si poteva resistere alla tentazione di prendere per il culo quelli che chiedevano informazioni sui nostri quartieri a luci rosse e li mandavano di solito davanti alla sacrestia della chiesa di San Giuseppe, tra via Costa e via Asproni, sperando che ne uscisse don Masia con il bastone. Non li abbiamo mai seguiti per vedere come andasse a finire. Quelli che accompagnavano le bestie al macello non erano tipi che gli scherzi li prendevano a ridere. Sarò irrispettoso e confuso, ma mi sono venuti in testa tutti questi pensieri leggendo le poche e magistrali righe con le quali un opinionista di eccezione qual è Manlio Brigaglia oggi sulla Nuova ha tracciato un futuro per l’ex Mattatoio. Una lettrice gli ha chiesto perché quell’edificio non possa diventare la sede regionale di un Politecnico delle Arti, in una sinergia tra Accademia, Conservatorio e Università. E Brigaglia, difendendo questa destinazione e il potenziale ruolo della città, ha risposto tra l’altro che mille volte si è sentito idealmente chiedere dal grande bove di pietra adagiato sul portale del Mattatoio: “E allora, che cosa ne facciamo di tutti i programmi sbandierati per farmi diventare il custode di un moderno istituto di cultura?”. E io mi chiedo, dopo avere letto Brigaglia, fine abbiano fatto tutti i progetti e le idee per dare nuova vita a questi monumenti che perso il loro ruolo urbano originario possono ritrovarne un altro persino maggiore in un nuovo contesto. La ristrutturazione dell’ex Mattatoio a opera dello studio sassarese di architettura Roggio-Gavini-Passaghe (uno dei più accreditati in Sardegna per il recupero di edifici storici) è ormai agli sgoccioli. Tra pochi mesi ci sarà il problema di assegnare a qualcuno l’opera finita perché la utilizzi. Un compito che spetta al Comune. Tremila metri coperti su una superficie di settemila, all’interno spazi specialmente concepiti per restauri e laboratori artistici anche su oggetti di grandi dimensioni, soluzioni geniali e rispettose della strutture preesistente per creare tutto ciò che serve a diversi settori artistici, compresi cinema e teatro, con la realizzazione tra l’altro di un auditorium con palcoscenico e quasi trecento posti. Che fine farà? Verrà utilizzato per il fine che ha informato questo progetto, cioè una vera e propria cittadella della cultura, o entrerà in chissà quale logica di utilizzo e di spartizione che magari spegnerà il valore dell’opera immergendola nel brodo di una parcellizzazione di piccoli uffici più o meno utili? Dicono che Sassari è lamentosa ma non progettuale, che non propone e quindi è logico che Cagliari le rubi tutto. Tanto logico non mi sembra, soprattutto quando al Nord Ovest della Sardegna vengono sottratte le rimesse per l’unico riscatto che le resta dopo il terrificante processo di deindustrializzazione. E cioè la cultura. Perché il polo del cinema al Sud e non nel Sassarese, dove pure c’è un grande fermento e si stanno formando solide e articolate proposte in questo settore? E perché il Comune ancora non cavalca con energia la battaglia dell’Accademia e delle altre istituzioni che vogliono creare un villaggio regionale della cultura nell’ex Mattatoio? Se il futuro non sarà questo, non riuscirò mai più a separare quel bue di pietra dal ricordo delle bestie scannate e dei loro accompagnatori in cerca di bagasse ai quali facevamo gli scherzi. E i ricordi di questo tipo, belli o brutti, non è che siano molto produttivi.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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