Io odio fotografare. È un’operazione che mi annoia. Qualche mese fa, ero seduta nella mia scrivania, china su un malloppo di fogli. Nell’alzare lo sguardo verso la finestra, i colori del cielo mi hanno distratta dalla lettura. Avvolta in un maglione extralarge sono uscita nel cortile della mia casa e quel cielo l’ho fotografato. Una fotografia pessima, fatta col telefonino sgangherato. Ma ogni tanto quei colori me li vado a guardare.
Quella foto l’ho osservata anche domenica sera, quando iniziavo a smanettare su internet alla ricerca di dati sulle regionali. Quest’anno ho avuto, tra gli altri, un personalissimo termometro di valutazione per queste elezioni. Mio padre. Mai mio padre prima di questa volta mi aveva detto: “Credo di non andare a votare”. Anche se poi ci ha ripensato.
Cinque anni fa, per le regionali del 2009 presi la nave per tornare a casa e durante la micidiale tratta Napoli – Cagliari della Tirrenia conversai con una corregionale. C’era un misto di cauta fiducia e sospetto, dettato, chissà, dalla scaramanzia. “E se vincesse Cappellacci?”, ipotizzammo. E così fu.
Cinque anni in cui la fiducia e il futuro sono stati soffocati da una patina di stanchezza e di disgusto, difficile da scostare via, anche ora. Anche per me, che questa volta non ho preso nessuna nave e nessun aereo. Talmente scorata da percepire il mio voto come completamente inutile, pronta ad assistere ancora una volta ad una sconfitta, questa volta senza sorprese. Infatti ero pronta a scrivere una dichiarazione per la Sardegna. Una via di mezzo tra un de profundis e una dichiarazione d’amore.
L’esito delle elezioni è stato diverso da quello che temevo, ma quello che mi volevo scrivere non cambia di molto. Perché questa è comunque una vittoria mutilata dal peso della metà di persone che hanno deciso di non votare e dalle difficoltà da affrontare, portatrice di mezzi sorrisi e brindisi mesti.
Chi se n’è andato difficilmente tornerà. Molti continueranno ad andarsene da questa terra incattivita che ti costringe a fare le valigie ma continua a tormentarti col suo profumo, coi suoi silenzi e i colori di quel cielo che ho fotografato. Spietata come le cose portatrici di bellezza sanno talvolta essere. La Sardegna che vorrò ricordare sarà quella di quel cielo. Quella delle esperienze condivise con i compagni di una vita così come quelle regalate anche da passanti che ti accompagnano per un breve tratto e ti lasciano, sempre con un qualcosa in più da infilare in quella valigia.
Ecco, per tutto questo e nonostante tutto il resto, voglio che questa sia, almeno per stavolta, solo una lettera d’amore. Per tutto questo non avrei mai perdonato chi questa terra ce l’ha fatta maledire e voleva lasciarla in mano all’incompetenza di chi l’ha affossata negli ultimi anni. Quest’altra è la Sardegna che vorrei lasciare fuori dalla valigia, qualunque sia la prossima meta.
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