Siamo diventati un popolo intelligente. Si. A forza di bollini rossi e neri, di giornate segnate col punto esclamativo sulle agende di Autostrade, Aeroporti e Trenitalia, siamo tornati e non c’è stata, o quasi, una notizia di TG, una riga di quotidiano, dedicata al temuto “controesodo”. Siamo tornati, abbiamo ricominciato a riempire le metropolitane, gli autobus, a rimetterci in colonna silenti e rassegnati sulle tangenziali, ad ingozzarci di tramezzini e caffè nelle pause pranzo veloci, a fumare sigarette sui marciapiedi sotto le insegne degli uffici, nei piazzali delle fabbriche, a raccontarci, col magone nel cuore, delle sabbie bianche di Sardegna, delle calette solitarie della Grecia, degli ulivi della Puglia assolata, del silenzio delle colline e del mare, dei parenti lontani che invecchiano, dei cannoli siciliani, delle barche dondolate dalle onde a Scilla, dei bomboloni e delle piadine sui bagnasciuga dell’Adriatico, delle notti lunghe di Ibiza, delle passeggiate e delle baite in montagna, delle meraviglie di Parigi, delle birre nei pub di Londra e Dublino, della pulizia delle strade di Stoccolma, del silenzio e delle acque verdi dei fiordi, delle cene col comandante tra le luci di una crociera e, per qualcuno che ha potuto di più, dei grattacieli di New York, dei Templi di Bangkok, della muraglia cinese o del fascino di Cuba. Siamo tornati e, quasi, nessuno se ne è accorto. Siamo tornati e, mentre noi viaggiavamo veloci verso il ritorno, siamo stati offuscati, messi in secondo piano. C’erano altre partenze, altre file, altre code che hanno preso il nostro posto, riempito lo scenario dei giornali, dei social, delle televisioni. Un altro popolo in marcia, in marcia verso una casa che non c’è. A piedi. Lungo quelle autostrade dove noi ci lamentiamo se non riusciamo a superare i 130, se dobbiamo aspettare al casello, lungo quei binari dove noi non vediamo l’ora di passare, veloci, senza neanche più guardare fuori dal finestrino, con la testa persa nello smartphone. A piedi. Non ci avevamo mai pensato. Siamo rimasti attoniti, hanno preso quella strada, quelle tracce di ferro disegnate sulla terra, le hanno seguite. Non c’erano più onde o venti forti a fermarli, non c’era più la natura a mettersi tra loro e noi. Hanno seguito le linee che noi abbiamo tracciato, fino alla ricerca della meta. Un popolo in silenzio. Non pensavamo sarebbe mai successo. Sono passati nel varco che avevamo tracciato per noi, per renderci la vita veloce, per vincere il tempo. Sono passati piano. Con la sola forza che la natura gli ha dato. A piedi. Mentre guardavo in TV quella biblica fuga d’Egitto, forse per provare a sdrammatizzare l’angoscia, mi è ritornato in mente Carletto. Si, Carletto, (così lo hanno soprannominato i biologi marini) il Pesce Chirurgo che, proprio agli inizi di agosto, era stato avvistato all’interno dell’Area Marina protetta di Tavolara, proprio lì, in quei fondali protetti a tutela della fauna autoctona di saraghi, coralli, cernie e stelle marine. Il pesce chirurgo non vive nel Mediterraneo, ma nei mari caldi, tra i quali il Mar Rosso. È passato, Carletto, approfittando di una linea tracciata dall’uomo, che gli ha segnato la strada. Il Canale di Suez, appena raddoppiato per l’occasione con tanto di inaugurazione in pompa magna. E lui è passato, Carletto, è passato in silenzio seguendo la strada segnata dall’uomo, l’uomo che si è sorpreso, beffato, nel vederlo li. Nessuno se lo aspettava, nemmeno il sub che se lo è trovato di fronte, con la faccia stupita, a tenere il respiro nella maschera, per poterlo osservare. Forse la stessa faccia della Cancelliera Merkel, che ha aperto la finestra al mattino e ha visto quella fila umana premere contro il cancello del suo giardino fiorito. Lontano dagli scogli di Ventimiglia, dalle onde del mare italico, dai centri di accoglienza assolati di Lampedusa. Passati, tutti, come Carletto, da una strada che l’uomo veloce aveva tracciato per lui, solo per lui. Li guardavo in TV e guardavo questa Europa impreparata, che trattiene il respiro nella maschera come il sub di Tavolara, sorpresa dalla fragilità dei suoi confini che credeva invalicabili, sorpresa da quanto la sua corsa alla velocità e alla fretta abbia avvicinato il deserto al mare, il mare alle Alpi, Lampedusa a Budapest e Berlino. Vedo foto e immagini in TV stamane, foto e immagini di facce e mani alzate e cartelli di cartone scritti a pennarello dal quel Popolo giunto a piedi fino li. C’è scritto “Thank” su molti di quelli, “Thank Angela” e disegni abbozzati di bandiere tedesche. Sarà stato il sonno del primo mattino, mentre il caffè veniva ancora su, ma su uno di quei cartelli mi è sembrato per un attimo di vedere una scritta, con mano ferma, e un sorriso stampato sulla faccia di un bambino che lo teneva in mano: “Je suis Carletto” diceva il cartello. Devo andare a letto più presto la sera, ho pensato, ma ho sorriso, mentre il cartello, forse, non c’era già più e il caffè veniva su.
Giovanni Cubeddu
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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