Il Medio Oriente ritorna nelle prime pagine dei telegiornali. Come sempre, si tratta di guerra, sangue e morte. A farla da padrone è l’infinita crisi israelo – palestinese, scaraventata sui nostri schermi coi volti delle sue giovanissime vittime. A ben vedere, il dramma palestinese è uno di quei focolai che saltuariamente ridesta l’interesse dei media occidentali, sebbene sia discutibile la qualità della copertura, frammentaria, spesso tendenziosa, quando non incline alla propaganda. Va anche peggio nel caso del disastro iracheno. È di qualche giorno fa la notizia della proclamazione di un fantomatico califfato siro – iracheno, proclamato da un oscuro personaggio di nome Abu Bakr al- Baghdadi, che, aggiornamento di ieri, sarebbe pronto a marciare su Roma col benestare di Allah in nome della Guerra Santa. Eppure, questo personaggio e il suo delirante progetto, paiono non essere sufficienti per riaccendere i riflettori sul pantano iracheno. Poco sorprendente allora che un noto giornalista di un altrettanto noto TG nazionale descriva l’Iraq come “un paese dilaniato dal conflitto confessionale, dove la corrente maggioritaria sunnita è messa all’angolo dal governo sciita del premier al Maliki”. Peccato che non sia esattamente così, e che l’Iraq sia un paese a maggioranza sciita, maggioranza svilita negli anni dell’era di Saddam. Dettagli che servono a capire la stanchezza che si riscontra nelle cronache mediorientali, da parte di chi scrive e di chi legge e ascolta. Vari analisti fanno notare come sia particolarmente bassa l’attenzione mediatica per un evento di tale esito, una catastrofe per gli Stati Uniti che un decennio fa propagandavano al mondo la possibilità di un Iraq libero e democratico senza Saddam Hussein e che ora si trovano un paese lacerato e mal gestito da un governo minacciato da quello che è già dipinto come l’erede di Osama bin Laden. Risultava impopolare, politicamente scorretto affermare che certe realtà, come quella irachena, non potevano e non possono accogliere il modello preconfezionato di democrazia all’occidentale. Lo scriveva anni fa Giovanni Sartori citando tra i suoi esempi l’Algeria degli anni ’90, quella nelle quali si aprì a libere elezioni che spianarono la strada agli islamisti del FIS e a migliaia di morti nella guerra civile. La democrazia è una variabile determinata culturalmente. E l’errore dell’Occidente è stato, ancora una volta, di natura culturale, nell’arroganza di voler esportare con la forza un’ invenzione tutta nostra in una realtà troppo distante. Una realtà i cui esiti recenti fanno rimpiangere quella stabilità simboleggiata dai vecchi regimi, per quanto sgradevoli potessero essere.
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