È diventato un caso politico il volontariato presso i servizi sociali del Comune di Telti prestato da Santo Barreca, un ergastolano del carcere di Nuchis che ha già scontato 33 anni di detenzione per gravissimi crimini di stampo mafioso. La vicenda, rivelata dal parlamentare Mauro Pili, ha provocato le inevitabili polemiche. La direttrice dell’istituto di pena, Carla Ciavarella, ha accettato di rispondere in esclusiva alle domande di Sardegnablogger per chiarire natura e finalità della misura riconosciuta a Barreca.
D.ssa Ciavarella, il parlamentare sardo Mauro Pili, nei giorni scorsi, ha reso pubblico il caso di Santo Barreca, detenuto nel carcere di Nuchis per gravi reati legati alla criminalità organizzata e cui oggi sarebbe stato riconosciuta la possibilità di lavorare ai servizi sociali del Comune di Telti. Come stanno realmente le cose e attraverso quali strumenti normativi è stato riconosciuto questo beneficio?
“Il detenuto, condannato all’ergastolo, ha trascorso in carcere 33 anni, attraversando tutto il percorso normativo ed amministrativo previsto dalla legge penitenziaria finalizzato al trattamento all’interno del carcere e al reinserimento sociale. Il complesso percorso procedimentale per fare si che il detenuto passasse nel corso di 33 anni di carcere dal 41 bis al circuito di media sicurezza è stato possibile grazie: 1) all’impegno del detenuto nell’aderire alle regole penitenziarie e a comportarsi con rispetto nei confronti di tutti gli operatori. Il detenuto ha conseguito prima il diploma di scuola media inferiore e poi quello di scuola secondaria superiore che gli ha consentito di iscriversi all’università che attualmente segue a distanza poiché non è autorizzato a recarsi a Sassari per frequentare i corsi e sostenere gli esami; 2) alla riflessione progressiva cosciente e consapevole che il detenuto, sostenuto dagli operatori penitenziari, ha fatto, rispetto al proprio passato deviante dal quale ha preso le distanze non soltanto attraverso comportamenti coerenti e leali ma anche seguendo tutte le previsioni di legge che prevedono quale condizione di accesso ai permessi premio, e/o misure alternative per coloro i quali hanno commesso reati caratterizzati da vincoli associativi di stampo mafioso, accertamenti giuridici volti ad escludere l’attualità dei collegamenti ai clan . Questo accertamento è stato regolarmente effettuato con l’ausilio delle forze dell’ordine, della Procura della Repubblica, del magistrato di sorveglianza. Con questi presupposti che sono stati lentamente costruiti nel corso di 33 anni di detenzione, oggi Santo Barreca, divenuto detenuto di media pericolosità, è stato assegnato da questa direzione al lavoro all’esterno (art 21 dell’ordinamento penitenziario, che non è un beneficio ma solo una diversa modalità di espiazione della pena) nell’intercinta del carcere dove lavora come giardiniere e addetto alle pulizie degli uffici e delle aree comuni esterne all’area detentiva ma sempre interne al plesso penitenziario. Per assolvere al desiderio espresso dal detenuto di poter riscattare la propria esistenza e di rendersi utile a quelle persone che sono bisognose di assistenza, Santo Barreca, ha chiesto concordando con questa Direzione la possibilità di recarsi ogni sabato presso una casa di riposo di Telti ( 30 km da Tempio Pausania) a proprie spese ottenendo l’autorizzazione all’uscita da parte del magistrato di sorveglianza. Non è un permesso speciale, non è pagato dai servizi sociali di Telti, ma è un impegno assunto a titolo volontario. In questi pochi mesi, Barreca si è guadagnato la fiducia della responsabile del centro e l’affetto e la simpatia degli anziani ospiti della casa di accoglienza che ogni sabato lo attendono. Si tratta di una attività meramente donativa che il Barreca è felice di svolgere nell’intento di provare a recuperare ed ad alleviare il rimorso che sente per gli atti commessi nel suo passato quando, da giovane e con poche possibilità di scelta, faceva parte del clan omonimo oggi non più attivo. Non si tratta di premi, ma di un percorso lungamente ponderato in cui tutte le istituzioni coinvolte (direzioni penitenziarie che lo hanno ospitato nel corso degli anni, magistratura di sorveglianza, procura della repubblica, volontariato) hanno lavorato insieme al detenuto valutando passo dopo passo il percorso di cambiamento svolto. Si tratta pertanto di valutazioni sulla persona, sul suo passato, sull’attualità della sua pericolosità, sulla sua famiglia. Tutti questi dati insieme hanno consentito di approvare un programma di reinserimento che è soltanto all’inizio e che formerà nel corso degli anni ulteriori valutazioni ed accertamenti”.
Sono stati diversi i commenti negativi su questa decisione, perlopiù alimentati da chi ritiene inopportuno affidare un ruolo così delicato ad una persona che sta ancora saldando il proprio conto con la giustizia. Ritiene fondate queste diffidenze?
“L’art 27 della nostra Carta Costituzionale afferma che la pena non deve consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e deve essere rieducativa. Al carcere è assegnato questo servizio ed il carcere non ha una funzione meramente contenitiva: sarebbe riduttivo e anche pericoloso non offrire ai detenuti, che restano uomini, l’opportunità di rimediare concretamente agli errori fatti attraverso una espiazione della pena percepita e gestita come un progetto di recupero sociale. Personalmente credo che i cittadini dovrebbero essere lieti di sapere che dal carcere è possibile uscire cambiati. Sapere che un servizio ( quello penitenziario) può anche funzionare e di fatto funziona, dovrebbe essere motivo di orgoglio e rassicurazione per tutti i cittadini. Non capisco come sia possibile gridare allo scandalo per le condizioni inumane o indignarsi sino a commuoversi per il numero elevato dei suicidi in carcere e poi indignarsi ugualmente quando si pubblicano notizie di questo tipo. Mi pare di capire che è sempre poca la sensibilità e la voglia di approfondire e conoscere la realtà delle cose. La vita non è tutta bianca o tutta nera. E soprattutto la nostra legge penitenziaria stabilisce che il trattamento dei detenuti in espiazione della pena deve essere individualizzato. Non tutti i detenuti ergastolani hanno la possibilità di accedere ai benefici previsti dalla legge come è accaduto per Barreca, poiché ogni persona ha una sua storia personale ed un suo vissuto. All’interno di un istituto penitenziario è possibile nello scrupoloso ed attento rispetto delle regole, favorire in chi ha commesso reati, un ripensamento del proprio vissuto favorendo il cambiamento, lo sviluppo di una cultura del lavoro onesto (e spesso poco remunerato) dell’impegno allo studio, solo e se esiste e si rinforza il valore personale positivo che si distanzia per contro dai valori negativi propri del passato deviante. Esempi come quello del Barreca, salito all’attenzione delle cronache con toni allarmistici, dovrebbero invece rassicurare i cittadini sulla possibile effettiva lotta al crimine, non solo con gli arresti ma anche con i percorsi di recupero interni al carcere. Naturalmente l’apporto della società civile fuori dal carcere svolge una funzione fondamentale poiché è di fatto questa società che collabora attraverso i diversi servizi che offre (sanità, educazione, lavoro, volontariato), al progressivo reinserimento”.
Cosa risponde a chi non crede nella possibilità di redenzione e vede il carcere esclusivamente come luogo di espiazione e punizione?
“Rispondo rammaricandomi . Chi non crede nel fatto che il male si combatte e si sconfigge SOLO con il bene, è purtroppo una persona che non crede in se stesso, in primo luogo, e non crede nella forza positiva che tutti davvero tutti gli uomini e le donne hanno in se stessi. Certamente il mio lavoro mi consente di conoscere la vita e le persone da un “osservatorio “ privilegiato. Per questa ragione insieme con gli operatori penitenziari che lavorano a Tempio Pausania e a Nuoro (le due sedi di servizio delle quali sono responsabile) mi impegno a comunicare con l’esterno e a favorire le attività interne al fine di far conoscere questo mondo che non deve e non può essere considerato un luogo oscuro del quale avere paura. Abbiamo in corso delle proficue collaborazioni con le direzioni didattiche del territorio ed ogni anno fanno ingresso diverse scolaresche che d’accordo con gli insegnanti introduciamo alla conoscenza del significato e delle modalità di esecuzione della pena”.
Esiste il pericolo di un radicarsi della criminalità organizzata nel territorio attraverso la permanenza di esponenti della malavita in strutture di detenzione?
“Ho letto con molto interesse qualche giorno fa le dichiarazioni di due professori calabresi esperti di ‘ndrangheta che su questo hanno fatto delle considerazioni molto interessanti. Personalmente ritengo che molti di coloro i quali sono in carcere da molto tempo, hanno, e non voglio generalizzare, perso il contatto con la realtà e sono per così dire “ passati di moda”. Le associazioni criminali oggi lavorano con regole diverse e la gestione degli affari più che in passato è subordinata e quindi dipende dal supporto e dalla possibile copertura fornita dal territorio di riferimento (dove si stipula l’affare e dove l’affare deve essere concluso). Gli affari illegali oggi più che nel passato sono globalizzati come è globalizzata l’economia legale e le strade del crimine assumono sempre di più un profilo transnazionale. Pertanto a mio modesto avviso la penetrazione prescinde dalla presenza o meno in carcere di detenuti che stanno espiando condanne per reati associativi”.
Quali formule utilizzate per favorire il reintegro dei detenuti?
“Occorre in primo luogo creare all’interno del carcere un clima sereno, basato su solidi principi di rispetto delle regole e del personale che vi opera. Una gestione penitenziaria basata sul rispetto della dignità degli uomini (che non è un dato scontato) è la base per stimolare, in coloro i quali sono cresciuti odiando le istituzioni, il riconoscimento valoriale dei compiti delle istituzioni stesse. Quello che abbiamo sperimentato nel corso di quasi tre anni di lavoro è che vivere e gestire il carcere come un servizio ai cittadini detenuti e per la società esterna ha come risultato l’abbattimento dell’aggressività interna e la realizzazione di un clima sereno dove è possibile dare spazio ed opportunità per la cura del proprio essere, che consente la scoperta di capacità mai esplorate prima (ad esempio scrittura, studio, poesia, arte). Su queste basi è poi possibile lavorare sugli individui e sostenere ciascuno di loro nell’acquisizione dei valori della legalità . Quello che abbiamo anche sperimentato è stato l’introduzione di un approccio riparativo che abbiamo utilizzato in tutte le attività trattamentali al fine di sviluppare il senso di “fare cose utili per gli altri”. Su questa linea ad esempio è stato pubblicato da un’associazione di volontari un libro di poesie scritte dai detenuti il cui ricavato è stato utilizzato per realizzare il parco giochi per i bambini di Nuchis. E ancora un libro di brevi racconti e poesie scritto dai detenuti, pubblicato dalla Fondazione Nivola che, sarà donato ai bambini ospiti del reparto di pediatria dell’ospedale San Francesco di Nuoro. Il percorso della reintegrazione passa però poi attraverso il riconoscimento da parte della società esterna dei progressi e dei cambiamenti operati dai detenuti poiché non è sufficiente trovare una opportunità di lavoro anche modesta, se poi l’esterno non accoglie e non riconosce la validità di un percorso fatto (per lo più in salita). Il rischio è che sentimenti di allarme e di paura alimentati dalla non conoscenza vanifichino il lavoro svolto per anni all’interno del carcere”.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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