A Roma, il 1° settembre 1984 il brigatista Valerio Morucci dichiara al giudice istruttore Ferdinando Imposimato: “Tutti i comunicati emessi dalle BR durante il sequestro Moro ci vennero dati dal responsabile del comitato esecutivo [Mario Moretti ndr] inserito nella colonna. Il contenuto dei comunicati veniva espresso esclusivamente dal comitato esecutivo, nel cui ambito veniva discusso a Firenze, in un luogo messo a disposizione dal comitato rivoluzionario toscano. I comunicati dati a giornali, in qualunque città venissero diffusi dalle Brigate Rosse, provenivano tutti dalla stessa macchina e dallo stesso ciclostile che erano a Firenze (…) La macchina usata dal comitato esecutivo si trovava verosimilmente a Firenze, nello stesso luogo in cui il comitato si riuniva durante il sequestro” (Pino Casamassima, Il libro nero delle Brigate rosse, Newton e Compton, pag. 951). Sono andato a cercare questa deposizione perché ricordavo molto bene chi era il giudice istruttore e, soprattutto, per meglio comprendere la figura altissima di Ferdinando Imposimato, scomparso oggi all’età di 82 anni: uomo d’altri tempi, indipendente, giudice vero, studioso, profondo conoscitore di ciò che è accaduto in Italia durante il periodo del terrorismo e non solo. Apprendendo della sua morte sono ritornato, irrimediabilmente, ai giorni di Moro che per quelli della nostra generazione (chi aveva intorno a vent’anni) hanno rappresentato un crocevia complesso e una serie di misteri non risolti. Questa deposizione di Morucci è emblematica per provare a comprendere il clima di quegli anni. Tra falsi comunicati (il numero sette, quello del lago della Duchessa rimane ancora oggi un falso terribile, scritto probabilmente da uomini dei servizi segreti), santoni, visionari, tra via Montalcini e via Gradoli; strane sparizioni, giochi di potere, rincorsa da parte delle brigate rosse ai simbolismi (il più terribile rimane quello di far trovare il corpo di Aldo Moro tra via delle Botteghe Oscure e Piazza del Gesù) Ferdinando Imposimato è stato l’uomo che più di tutti ha tentato di comprendere, analizzare, scardinare il fenomeno del terrorismo politico italiano tentando (con pochi successi, a dire il vero) di trovare delle connessioni ai servizi segreti internazionali (israeliani e KGB) che volevano destabilizzare lo Stato italiano. Imposimato, nella sua integralità, è riuscito a disegnare scenari dove poi sono maturate alcune prove e dove, invece, non si è riusciti a trovare la verità. Nel corso degli anni ci sono state molte commissioni di inchiesta e addirittura quattro processi per l’omicidio dell’Onorevole Aldo Moro e della sua scorta ma, purtroppo, neppure la verità processuale è riuscita a dipanare i moltissimi dubbi che ancora aleggiano su quella vicenda e che io continuo a portarmi dentro come memoria che non scompare: perché sparisce il rullino delle fotografie? Perché le BR vogliono farci trovare, a tutti i costi il covo di via Montalcini? E perché Valerio Morucci se ne esce, nel 1984, con quella strana dichiarazione sui comunicati tutti scritti a Firenze? E’ vero? Chi è in realtà l’inafferrabile e scaltro Mario Moretti? Ci sono stati film, ricostruzioni al computer, documentari, libri che provano a ripercorrere questa immane tragedia. Lo ha fatto anche Ferdinando imposimato nel libro: “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia. Perché Aldo Moro doveva morire? La storia vera” (Newton e Compton) e ha provato, camminando su quei fatti e ritornando a quei giorni, a raccontare un paese livido, manovrato dalla Loggia Massonica P2, da politici che trattarono con le Brigate Rosse ma non sicuramente la salvezza del Presidente della Democrazia Cristiana. Ferdinando Imposimato ha indagato anche sull’attentato a Papa Giovanni Paolo II, ha contribuito a disegnare i crimini della banda della Magliana ed è stato anche un Deputato e Senatore della Repubblica. Si ricordano i suoi bellissimi interventi all’interno della commissione antimafia e la sua vivissima curiosità per provare a cercare “altre verità”. Lo ha fatto tentando di spiegare sempre il problema della doppia verità: quella processuale e quella reale e l’impossibilità che queste rette parallele possano incontrarsi. Però, se Morucci racconta di Firenze e Moretti finge di non ricordare tutto diventa liquido e difficile da ricostruire.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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