Mio zio la chiamava erba america. E così sono cresciuto con questa “locuzione” che ha rappresentato, nel periodo della mia adolescenza, la giornata di “pasquetta”. Perché le feste pasquali le trascorrevo negli stazzi della Gallura tra capre, mucche, cani da caccia e verdi pascoli di erba america. Le giornate erano lunghe e bellissime. Si trascorrevano ad inseguire i cani, uno dei quali chiamato Zagor da mio fratello e che mio zio, come sempre, ribattezzò Zago. C’era, in uno stazzo fantastico con grandissimi massi di granito, la casa della mia bisnonna e il figlio, che noi tutti chiamavamo “babbai” soffriva d’asma e camminava sempre con una pompetta e, come ricordava Guccini nella sua canzone Amerigo, “un cinto d’ernia che sembrava una fondina per la pistola”. Babbai aveva un cane, un bastardo simpaticissimo che faceva amicizia con tutti. Lo aveva chiamato Andreotti e a me questa cosa faceva molto ridere. Credevo che Babbai fosse un democristiano e che il nome era dovuto ad una sorta di deferenza nei confronti del politico più importante e potente in quei tempi. Mi sbagliavo: Babbai non sopportava Andreotti e quel povero cane ne pagava le conseguenze. Lo teneva molte ore legato, gli dava poco da mangiare e, quando ci riusciva – poche volte perché era enorme e si muoveva a rallentatore – gli mollava qualche calcio. Fu così che un giorno Andreotti sparì e da questa fuga nacque negli stazzi una piccola leggenda che faceva sorridere un po’ tutti. Lo cercavano chiamandolo a squarciagola e qualcuno, più scafato diceva “e ca si n’affutti di Andreotti, già n’ agatta locu pà magnà” fino a quando mio zio andò a trovare Babbai e gli confidò di aver visto il cane, Andreotti, nella tanca dove aveva piantato l’erba america. “Lu sapia,” rispose Babbai “iddu è fissatu cu l’americcani”. Era un giorno di pasquetta senza telefonini e senza altre distrazioni e con davanti un’immensa collina verde: l’erba america.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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