Il giornalista Antonio Moscatello ci ha concesso la pubblicazione di questa sua personale riflessione, che aveva affidato alla bacheca di un social, sugli spropositi della competizione umana.
Dietro un’eccessiva rivendicazione di titoli si nasconde spesso un’insicurezza di fondo. E’ un paese strano quello nel quale si sbandierano dottorati (che, poi, nel concreto non danno alcuna garanzia di effettiva competenza nella materia). Ricordo che, solo un quarto di secolo fa, pretendere l’esplicitazione del titolo – dottor, prof, grand uff … – era un modo per chiamare lo sbertucciamento. Oggi c’è gente che t’abbuffa di titoli senza il minimo ritegno. L’umiltà è considerata un disvalore.
Alcuni anni fa mi venne in mente di fare – più per vedere com’era che perché davvero ne avessi bisogno – uno strano concorso pubblico nell’ambito di un progetto europeo. Dopo una serie di grottesche prove psico-attitudinali (le macchie di Rorschach, test Minnesota, prove evidentemente per nulla attinenti al lavoro che veniva prospettato), ci fecero sedere a dei grandi tavoli per fare dei colloqui collettivi. Più delle conversazioni molto in stile talk show che colloqui, a dire il vero. Uno dei tizi che si trovava al mio tavolo, che evidentemente m’aveva individuato come un rivale, prese a interrompermi in maniera molesta, aggressiva e strumentale. Ovviamente dopo un po’ lo zittii alzando la voce. Alla fine del test, mogio mogio, venne da me a scusarsi con queste parole:
– Mi dispiace, ma a me hanno detto che per passare questo test dovevi far vedere di essere leone, non pecora. Spero che tu non l’abbia presa a male -.
Mi fece, francamente, un po’ pena.
La competizione tra le persone, in questi ultimi decenni, ce l’hanno fatta passare come un valore: la vita come una gara, la meritocrazia (che poi è un concetto tanto inumano quanto irrealizzabile), le eccellenze, i talenti, i cervelli (troppo spesso in fuga, ma soprattutto da se stessi, e questo è un altro discorso). Tutto per cercare di comprimere una verità iscritta se non nei nostri geni, almeno nell’ancestrale natura degli esseri umani: i primati di genere Homo sono animali da branco, l’individualismo non è un tratto che si possa tirar troppo per il collo e la pretesa turbocapitalista di accarezzare l’ego per mettere in competizione tra loro gli uomini affinché producano di più, provoca sofferenze e alla fin fine distrugge alla base ogni sostenibilità della crescita e ogni speranza di equità.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
Il viale dell’Asinara. (di Giampaolo Cassitta)
La strana storia del Dr. Gachet. (di Giampaolo Cassitta)
Temo le balle più dei cannoni (di Cosimo Filigheddu)
La musica che gira intorno all’Ucraina. (di Giampaolo Cassitta)
22 aprile 1945: nasce Demetrio Stratos: la voce dell’anima. (di Giampaolo Cassitta)
Ha vinto la musica (di Giampaolo Cassitta)
Sanremo non esiste (di Francesco Giorgioni)
Elisa o il duo Mamhood &Blanco? (di Giampaolo Cassitta)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
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Morto per un infarto Gianni Olandi, storico corrispondente da Alghero della Nuova Sardegna (di Gibi Puggioni)
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