Questo è il racconto di come all’improvviso e a età avanzata scoprii che Imagine di John Lennon è una palla pazzesca. A mio sacrilego avviso, naturalmente. Calma, ragazzi. Ora non datemi addosso. Voglio soltanto dire che questo mondo nenioso dipinto nella canzone mi ricorda un pochino l’ intervista a Miss Qualcosa, quella che dice “Vorrei la pace nel mondo”. Grazie al cazzo. Anche io vorrei la pace nel mondo. Però il discorso non è questo. Il fatto interessante è che l’abbia scoperto da anziano. Cioè pochi anni fa. Me l’ha fatto scoprire l’English Centre di Sassari, che in questi giorni compie trent’anni. E già dicendo questo sto facendo pubblicità “redazionale”. Il che è un po’ fuori dal nostro stile, fatto anche di una certa schiettezza. Comunque, appunto con schiettezza, non vi nascondo che questo istituto mi piace molto perché ha compiuto il miracolo di fare capire un po’ di inglese a un vecchio signore che non ne aveva prima masticato una parola. E lo ha fatto immergendolo in un amichevole e rilassante clima da club. E siccome non sto appunto scrivendo una pubblicità redazionale, eviterò di riferirvi i numeri di alunni giovani e meno giovani introdotti in questi anni alla lingua di Shakespeare e di Donald Trump (tutte le grandi culture hanno apogei e ipogei) e tutti gli altri interessanti dati che potrete trovare con una semplice ricerca nel sito del Centre. Anzi, vi dico soltanto il numero di sassaresi e limitrofi che dal settembre del 1986, grazie all’English, hanno imparato la lingua inglese: sono diciassettemila. E tra questi ci sono anch’io. Le cose sono andate così. Qualche anno fa, quando già avanzavo verso i sessanta anni realizzai con vergogna che per tutta la vita avevo fatto il mestiere di giornalista senza sapere una parola di inglese. E’ vero che l’avevo svolto in ambito locale, ma voi non immaginate quanto sia diventato internazionale l’ambito locale negli ultimi quarant’anni. Almeno per un giornalista. Me la cavavo dirottando, se possibile, gli eventuali interlocutori sul francese. Ma quando accadeva, a esempio, che le prime agenzie su un evento venivano battute solo in inglese, ero fregato. Il primo contatto, mediato, con l’English lo ebbi nel tragico giorno delle Torri Gemelle. Quando arrivò la notizia dell’altro aereo pilotato a schiantarsi sul Pentagono, mi ricordai di avere un amico sassarese che vive a Washington e che poteva darmi notizie. Stavo per chiamarlo, quando mi domandai -E se mi rispondono la moglie americana o i figli che cosa faccio, che in inglese non so neppure dire buonasera? Mi ricordai che il mio collega e amico Roberto Sanna era un alunno dell’English Centre e gli chiesi di avviare la conversazione. A rispondergli , naturalmente in perfetto inglese, fu proprio il mio amico. Vi riporto in italiano pressappoco la conversazione che avvenne in inglese. -Pronto, è la casa del signor … -Sì, come le posso essere utile? -Chiamo dall’Italia, vorrei parlare con il signor … -Sono io, mi dica. -Sono un giornalista della Nuova Sardegna. Se non la disturbo le passo il collega Filigheddu. -Ma… la Nuova Sardegna di Sassari? -Quella! -E il suo collega Filigheddu sarebbe il mio amico Cosimo Filigheddu? -E’ lui. -Ma lei non è inglese? -No, mi chiamo Roberto Sanna e sono di Sassari. -Ma anche io sono di Sassari! Perché cavolo stiamo parlando in inglese? Ricorda molto la vecchia barzelletta del viaggiatore e dell’emigrato di Sorso che si incontrano a New York. La differenza è che questa conversazione è reale e che inoltre avvenne, contrariamente alla barzelletta, tra due italiani che parlavano tanto bene l’inglese da non accorgersi che l’interlocutore era un connazionale. Io rimasi colpito soprattutto dal fatto che Roberto, il quale aveva soltanto visitato ma non era mai vissuto in Paesi anglofoni, conoscesse tanto bene la lingua da ingannare il mio amico che viveva in America da trent’anni. E ripensai a questo quando, alcuni anni dopo, decisi di iscrivermi anch’io all’English Centre. Vi ho detto, un po’ scherzando e un po’ sul serio, che mi accorsi all’improvviso che il velo che mi nascondeva quel mondo si era un pochino sollevato quando mi capitò di risentire Imagine, una canzone che mi aveva fatto sognare nella mia giovinezza ma senza capirne un fuck, come posso permettermi di dire ora che conosco persino qualche parolaccia. Un po’ scherzando perché in realtà, quando il velo si squarciò, ebbi delle emozioni anche in positivo. A esempio la gioia di rileggere, con l’aiuto degli insegnanti del Reading Club, una delle sezioni dell’English, alcuni autori americani e inglesi che amo e ho sempre amato. Ma anche emozioni più semplici, come il mio primo 007 con Sean Connery senza doppiaggio (ma per la prima mezz’ora con sottotitoli in inglese, per abituarmi). O l’anno scorso, quando sentendo nel sito Bbc un discorso di Obama, uno dei politici che più ammiro, mi sono accorto che ne capivo gran parte. Penso di avere sfruttato meno della metà della potenzialità di questa scuola. Il fatto è che sono pigro. Vado lì e orecchio, non studio neppure il minimo richiesto. Mi comporto come uno che si piazza sotto la doccia per godersi l’acqua tiepida, immobile, senza strofinarsi la pelle con un po’ di sapone. Così non ti lavi bene. Insomma, non posso dire di conoscere l’inglese ma posso affermare che non è più un mondo misterioso, come prima. E chissà che se metto la testa a posto e mi applico un po’ di più non riesca realizzare lo strano sogno con il quale ho cominciato i corsi: quello di rileggermi in lingua originale il Circolo Pickwick di Dickens. Non è mai troppo tardi, come diceva negli anni Sessanta un grande maestro che salvò dall’analfabetismo milioni di italiani.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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