Se Lelio Lecis sa destrutturare la letteratura, ricomporla nel linguaggio teatrale e stillarne un dramma psicologico d’autore, Simeone Latini è lo stupendo, diresti “naturale” interprete di questa operazione. E così “Lo straniero” di Albert Camus diventa un piccolo capolavoro anche sul palcoscenico. Ha avuto successo al Teatro Astra di Sassari l’appuntamento con Akroama della rassegna “Primavera a teatro” allestita dalla Compagnia Teatro Sassari. Di Lecis il pubblico sassarese ricordava quell’affascinante suo “Marinaio” tratto da Fernando Pessoa, l’unica opera del poeta portoghese dichiaratamente teatrale ma di una scrittura tutt’altro che drammaturgica. Il regista, senza tradirne il difficile percorso onirico, ne aveva fatto una profonda, leggibilissima e accattivante trasposizione che aveva affascinato il pubblico.E anche dall’esistenzialismo tutto peculiare dello “Straniero” Lecis ha estratto con eccellente teatralità un significato fondamentale, cioè non la generica sofferenza davanti all’ineluttabilità degli eventi, ma piuttosto l’indifferenza assurta a condizione irrinunciabile di vita. Chi conosce la minuziosa cura del particolare nella regia di Lecis, l’ha ritrovata in questo allestimento sia nella guida dei movimenti, ma, avresti detto, persino in quella dell’espressione degli attori. Ti sembrava di ritrovare questa sinergia di intenti nella grande recitazione di Latini, un Meursault annoiato davanti alla bara della madre, la cui lugubre presenza Lecis ha scelto di imporre in maniera onerosa e plastica, si penserebbe proprio per contrasto con la patologica e tiepida leggerezza del figlio; che poi diviene distaccata vittima, per apatica accettazione, di tutte le circostanze che lo portano alla ghigliottina. Condannato a morte per eccessiva freddezza davanti alla vita: appare questo il messaggio che Lecis e Latini hanno scelto dell’esistenzialismo di Camus. O meglio, nella particolare forma della sua filosofia leggibile nella scrittura drammaturgica e nella regia. Nell’interpretazione di Simeone Latini non vedi infatti il dolore smarrito davanti all’assurdità della vita, ma un sostanziale disinteresse per il proprio destino, con un brivido per lo spettatore provocato dallo stridore tra i raccapriccianti eventi e l’assenza di emozioni per le conseguenze personali. Bravi anche gli altri attori: Tiziana Martucci, Giuseppe Boy, Stefano Cancellu e Naika Sechi. E in particolare Tiziano Polese, che ha reso molto bene la figura di Raimondo, una sorta di “apache” parigino catapultato nell’Algeri coloniale cara a Camus (si pensi a “La Peste”) e resa da Lecis nella comparsa quasi sognante, fantastica, di figure classicamente arabeggianti durante i cambi di scena. I costumi erano di Marco Nateri, la scenografia di Valentina Enna.
(La foto è di Francesca Mu)
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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