Sono sempre andato fiero della mia ignoranza in senso socratico. Quella patente di sapiente che il padre di tutti i filosofi attribuisce a coloro che sanno di non sapere, e quindi anche a me, ha funzionato per decenni da comodo alibi. Veleggiando da sempre in quel mare aperto che è il giornalismo generico, so poco ma un po’ di tutto. La tesi di Socrate, dunque, mi calza a pennello.
Finché, qualche sera fa, l’atmosfera rarefatta di una seduta sulla tazza del cesso ha gettato ombre pesanti su Socrate e, di conseguenza, sul suo umile, ultimo seguace, cioè il sottoscritto. Come sempre, ingannavo l’attesa dell’attimo fuggente osservando le decine di prodotti per il bagno sistemati in precario equilibrio sull’orlo della vasca quando lo sguardo si è posato su un paio di prodotti per l’igiene intima appollaiati sul bidet. Così ho scoperto che, da qualche tempo, cioè da quando l’ho comprato, cospargo quotidianamente i gioielli di casa con qualcosa che si chiama bisabololo.
“E’ di certo una pianta esotica che cresce solo ed esclusivamente dove cagano gli gnu”, ho pensato in un primo momento. Il sorriso del cazzeggio si è spento quando mi sono reso conto di aver perso l’attimo in arrivo per colpa dell’oscuro elemento che pare doni “freschezza attiva” alle parti basse. Scocciato, ho deciso di fare come sempre; un’occhiata a Google consentirà di aprirmi senza faticare al meraviglioso mondo del bisabololo e magari di citarlo per fare il figo con gli amici sviando il discorso sul sesso tantrico. Invece, nella mia mente è scattato qualcosa. Anziché svelare il mistero del bisabololo ho mandato affanculo Socrate e i suoi discepoli, ritrovando la via maestra del “nonsopropriouncazzodinulla”, attraverso la corrente “sapiente è colui che sa cosa minchia è il bisabololo”.
A proposito (alla fine non ho resistito) pare sia un alcool naturale sesquiterpenico…
ps. Il pezzo risale al 2014.
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