Il 2 dicembre del 2223 Marte oscurò Giove. Me lo ricordo bene, anche se ero un ragazzino e avevo la testa più rivolta a una squinzia elettronica Nintendo Ad 26mila con due bocce che se ne fottevano della forza di gravità, che all’astronomia. Ero della seconda generazione dopo la rivoluzione della procreazione mediobiologica, quella che ha inaugurato questo bel mondo di adesso dove ti vuoi accoppiare e riprodurre senza contatti fisici. A noi adesso sembra tutto normale, ma io ho fatto in tempo a sentire i racconti dei miei nonni, quando per riprodurti dovevi mischiare sudori e altre porcherie, sentire gli odori una dell’altro, palpeggiare corpi non sempre accuratamente disinfettati, infilare o farti infilare roba non ho mai capito bene in quale dei nostri orifizi per trarne oscuri godimenti di natura bestiale. Comunque il psicosocial unificato aveva detto che ci sarebbe stato questo evento astrale all’ora tale e al minuto talaltro e io avevo appena scaricato nell’orecchio destro l’app che mi avrebbe permesso di ammirarlo senza neppure sollevare la testa a guardare il cielo. Che comodità. A casa noi avevamo due domestici marziani che erano fieri di questa faccenda che il loro pianeta avrebbe oscurato quegli stronzi di Giove. Non era mai corso buon sangue tra i due pianeti. Non avevano tecnologie tanto evolute da potersi fare guerra direttamente, come noi terrestri, ma avevano costruito potenti telescopi con i quali inquadravano vicendevolmente i grandi cartelli con insulti e disegni osceni che collocavano negli emisferi tra loro visibili. I marziani erano un ottimo personale di servizio. Quelli sopravvissuti alla grande epopea della colonizzazione del Lontano Ovest del pianeta (Far West, dicevano gli astronauti americani che facevano parte delle prime missioni) si erano ben presto adeguati alle nostre esigenze di civiltà più evoluta e avevano accettato di buon grado le nostre benevole concessioni. Soprattutto quella relativa a una migrazione di massa dei superstiti per esercitare ruoli subalterni sulla Terra. D’altro canto non ci servivano indigeni per sfruttare i minerali del Lontano Ovest di Marte. Anzi, ci sarebbero stati di impaccio. Comunque eravamo lì che guardavamo l’eclissi di Giove con tutti i marziani vestiti a festa, i tentacoli e le antenne ripuliti, che cantavano i loro vecchi inni (riveduti dalla censura nei punti in cui dicevano “Terrestri, bastardi, non avrete mai le nostre terre”), quando dalla parte opposta arrivò il primo fascio di luce. Zut! E migliaia di normali e di marziani si volatilizzarono insieme, come fossero della stessa razza. Ci misi poco a capire cosa stava succedendo, soprattutto per l’inconfondibile accento mercuriano della voce che dall’altoparlante ammoniva: “Mantenete la calma e oggi non morirà nessuno, veniamo a portare pace e progresso”. Zut! E un altro milione di evaporati. Insomma, alla fine capimmo che venivano per il nostro bene. E’ vero che Mercurio aveva una superficie troppo limitata rispetto alla popolazione e che l’eccessiva vicinanza con il Sole stava diventando fastidiosa, ma la migrazione di massa della loro popolazione verso la terra si è rivelata utile per tutti. Per loro che si sono salvati dall’estinzione; e per noi che, a contatto con una civiltà molto più evoluta della nostra, abbiamo imparato tante cose. Perlomeno le hanno imparate quelli di noi che sono sopravvissuti al drastico calo demografico (alcuni miliardi di esecuzioni capitali nel volgere di tre minuti) necessario per fare posto ai nostri nuovi padroni. E quindi quel giorno mi sono ammirato l’eclissi di Giove con i miei due domestici marziani. Sino a quando il mio nuovo padrone mercuriano non mi ha tirato il guinzaglio borbottando seccato: “Su, basta con queste cazzate, fatti la tua pisciatina e torniamo a casa che sta iniziando Porta a Porta”.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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