Con occhio torvo, l’assente del Viminale ci informa che “stiamo svuotando i grandi centri immigrati come: Cona e Bagnoli in Veneto e Castelnuovo di Porto a Roma. Ora è il turno di Mineo, che chiuderemo entro luglio”. Non svela che con il suo decreto sicurezza, ora diventato legge, ha creato in pochi mesi oltre 11mila immigrati irregolari (fonte ISMU), senza fissa dimora. Nasconde che con la chiusura dei centri di accoglienza sono, finora, andati persi migliaia di posti di lavoro. Lavoro italiano. Secondo la Cgil sono già 5000 i disoccupati del settore destinato all’accoglienza e all’integrazione, e secondo una stima prudente saranno 18000, il 50%, i posti di lavoro che scompariranno entro quest’anno; lavoratori italiani tra i 30 e 40 anni, perlopiù. Niente più busta paga per mediatori culturali, via gli psicologi, gli educatori, gli insegnanti di italiano. Niente più addetti alle cucine, alle pulizie, via fornitori, manutentori e amministrativi. Via anche avvocati, assistenti sociali e tutta una rete di lavoro indiretto e taglio all’economia locale che vedeva circolare nel suo asfittico sistema economico dei paesi una risorsa aggiuntiva. Solo in Sardegna i posti di lavoro persi nel settore si stima siano poltre 250; più di 50 nella sola provincia di Oristano che, su un bacino di 450 immigrati presi a riferimento e distribuiti in sistema diffuso di 13 strutture di accoglienza, davano occupazione diretta a 62 persone e sviluppavano un fatturato annuo pari a 5 milioni e mezzo di euro che si riversano in quel territorio. Denaro che si traduceva in investimenti, in acquisti di beni di consumo; che aveva rimesso in attività, molte strutture turistiche inattive o comunque divenute antieconomiche, riattivando capitali fermi che accumulavano passività. Esercizio imprenditoriale, questo dell’accoglienza, che si annoverava tra le più robuste realtà imprenditoriali dell’area dell’Oristanese; si collocava al 27simo posto per fatturato e tra le prime 10 per numero di dipendenti. Di quel sistema composto da tredici centri ne sono rimasti due che insieme a poche altre unità di accoglienza di quel territorio annaspano nei debiti bancari, con i creditori alla porta, con gli stipendi per il personale in arretrato anche di otto mesi, quanto il ritardo da parte dello Stato nel pagare il servizio. Un danno economico, occupazionale e per la sicurezza. Mentre crescono gli irregolari, paradossalmente, di pari passo con l’applicazione della legge che dovrebbe renderci più sicuri, e al netto della propaganda, le persone rimpatriate sono una esiguità numerica. Questa è tra le più sfacciate falsità divulgate dall’assente del Viminale. Per rimpatriare solo 120mila stranieri, con un airbus da 359 posti, servirebbero 1011 viaggi che, fra andata a ritorno a sud del Sahara, si tradurrebbero in 2022 giorni di voli ininterrotti, cinque anni e mezzo di attività. Con i protocolli di sicurezza che prevedono due poliziotti per ogni persona da rimpatriare, la spesa raggiungerebbe 362 milioni di euro, e soldi non ce ne sono. Ma più che altro occorrono rapporti internazionali con i paesi verso cui rimpatriare gli espulsi, buone relazioni; mentre invece, proprio l’assente del Viminale è in guerra con tutti, Africa compresa, perciò di accordi bilaterali con quei paesi non ce ne sono, quindi non si rimpatria nessuno. Se non sporadiche unità messe su un aereo e che insieme a qualche nave a cui sono impediti i porti, per essere sventolate all’occorrenza per ingannare la piazza.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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