di Fiorenzo Caterini.
Tempo fa scrissi questo articolo sulle servitù militari, https://www.sardegnablogger.it/lo-sviluppo-al-piombo/ dimostrando, dati alla mano, che i paesi che in Sardegna hanno ospitato le servitù militari hanno avuto uno sviluppo demografico sensibilmente inferiore ai paesi vicino, segno inequivocabile di un relativo minore sviluppo economico.
Inoltre, nell’articolo mettevo in risalto come, a fronte di 174.000 militari presenti nel paese, solo 10.000 militari siano presenti in Sardegna (da fonte militare, forse anche sovradimensionata) .
In pratica la Sardegna, concludevo, offre il 60 % del territorio alle servitù militari italiane e ne ricava appena il 7 per cento delle buste paga.
Una beffa, una atroce beffa, se consideriamo che i proiettili sparati nell’isola ammontano, a quanto pare, al l’80 per cento di quelli sparati nei poligoni nazionali.
Le servitù militari non solo avvelenano e inquinano ma non sono neppure convenienti dal punto di vista economico. A spiegarglielo sia al sindaco di Decimoputzu.
Legittima la lotta per il proprio posto di lavoro. Ci sono impiegati, imprese di pulizie e servizi mensa, manutentori, e gli stessi militari sardi che lavorano nei poligoni. Ma qui si parla di una riconversione, non di un abbandono. I posti di lavoro non verrebbero persi ed anzi, con le bonifiche ci sarebbe lavoro per anni per centinaia di persone.
Invece queste uscite dell’amministratore locale di turno mostrano un lato pericoloso dell’incapacità di immaginare uno sviluppo che non sia quello della busta paga fornita dall’alto.
A voglia di dire che la Sardegna deve puntare sulle sue vocazioni. Ma non lo dico io, lo dicono le cifre.
Le cifre dicono che i settori in espansione in Sardegna sono l’agroalimentare e il turismo.
I comparti che reggono, anche se tra mille difficoltà e l’incomprensione della classe politica, sono il pecorino e il sughero, che garantiscono tutta la filiera dalla materia prima al prodotto finito.
Soldi che restano tutti in Sardegna.
Il turismo in crescita è soprattutto quello culturale, quello naturalistico, quello di nicchia.
Un tempo dicevano che esisteva solo il turismo balneare, il resto tutte sciocchezze.
Poi si scopre che la regione italiana con più presenze turistiche è il Trentino, che il mare non lo ha.
Faccio un altro esempio semplice, per non andare lontano e restare in Italia. I sentieri delle 5 Terre in Liguria attirano centinaia di migliaia di visitatori all’anno. Si paga un biglietto per entrare, sia nel sentiero principale che nel Parco. Vagonate di soldi grazie alla felice posizione geografica, è vero, ma grazie anche ad una pressante promozione del bene turistico che ne è stata fatta.
Un altro esempio conosciuto, a proposito di sentieri, è quello della Corsica. Anche lì lavoro ed economia integrata.
Trentino, Liguria, Corsica non hanno niente di più che la Sardegna non ha.
Parlo di sentieri, cioè di un bene che i turisti cercano come l’acqua del mare, e in Sardegna, purtroppo, non si trovano, perché chiusi, sporchi, mal segnalati.
Eppure in Sardegna abbiamo sentieri, paesaggi, camminamenti storici di ogni tipo e di una bellezza esagerata, ma non è mai stata fatta una operazione seria di investimento sul bene.
Se si fosse investito un centesimo dei soldi che si sono investiti nell’industria negli ultimi 30 anni nella promozione della sentieristica ora avremo potenziato un sistema economico che va ben oltre il servizio offerto dalle guide turistiche a naturalistiche: ne avrebbe beneficiato una filiera integrata fino al produttore primario.
Un solo esempio che mi è venuto in mente, ma se ne potrebbero fare tantissimi altri.
Basti pensare alla trascuratezza con cui stiamo gestendo quell’incredibile scoperta archeologica di Mont’e Prama, insieme a tutto il suo patrimonio. Altrove ne avrebbero fatto un parco archeologico da migliaia di visitatori.
Questa mancanza di visione dello sviluppo e di programmazione è un ostacolo insormontabile a quel tipo di indipendenza che ci manca come l’aria, quella mentale.
Ci sono, è giusto sottolinearlo, anche in Sardegna delle esperienze molto interessanti, che cercano di valorizzare il patrimonio di tradizioni, di saperi, di colture tipiche che abbiamo. Queste esperienze, a volte, danno l’impressione di essere il frutto dell’impegno improvvisato dei singoli e meno, molto meno, della programmazione metodica delle istituzioni.
Che preferiscono puntare ancora oggi, nel 2015, sulle industrie pesanti e inquinanti, industrie che chiudono una dietro l’altra.
E così prosegue, nell’isola, quel conflitto perenne tra chi persegue una idea di sviluppo autoctono, basato sulle vocazioni naturali dell’isola, e chi si guarda attorno per importare fattori di crescita e scopiazzare modelli di sviluppo dall’esterno.
L’iniziativa del Sindaco di Decimoputzu ricade dentro questa dialettica.
Trovo anche normale che un Sindaco difenda le buste paga di un paese. Ma in questo caso, la sua appare una difesa d’ufficio del tutto indebita, la difesa d’ufficio di una espropriazione di terra che ai sardi, oltre che povertà, ha portato morte e malattie.
I giorni scorsi mi sono ritrovato in Francia a parlare di Sardegna. Mi sono accorto che l’isola si promuove da sé, basta esporre in modo semplice le eccezionali prerogative che ha, e che spesso siamo i primi a non riconoscere.
Non mi stancherò mai di dirlo, e di ripeterlo. Non ci vuole molto, la Sardegna ha tutte le carte in regola per uno sviluppo sociale ed economico equilibrato.
Si sta bene in Sardegna e si potrebbe stare anche meglio, con qualche buon posto di lavoro in più.
Basta finirla di guardarsi attorno e guardarsi un po’ dentro.
E, soprattutto, smetterla di scambiare i carnefici per benefattori.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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