Mi è capitato di fare una chiacchierata con un ragazzino che frequenta le scuole medie. Si parlava, appunto, della scuola. Io lo interrogavo sugli argomenti che gli suscitavano maggiore interesse, perché mi incuriosisce sapere da cosa siano attratti i ragazzi di oggi. Lui mi ha raccontato una lezione di qualche settimana prima. Cerco di riassumere la sua descrizione. “Il professore ci ha mostrato delle diapositive delle scie chimiche alla lavagna multimediale. Ha spiegato che non hanno nulla a che vedere con la condensa prodotta dagli aerei, perché la condensa si dissolve immediatamente. No, lui sostiene siano delle sostanze liberate nell’atmosfera da non so bene chi per inquinare l’aria. Usano dei droni, ha detto, e ci ha fatto vedere anche come funzionano questi droni”. Il ragazzino mi fissava con aria inquisitrice, per capire quale sarebbe stata la mia reazione. Aveva percepito qualcosa di anomalo, in quella lezione, ma voleva fossi io a mettere in dubbio l’autorità del docente. “Sostanze di quale genere?”, ho chiesto. “Sostanza cancerogene”, ha risposto lui. Volevo saperne di più e ho proseguito con le mie domande. “Ma lui era sicuro di quel che diceva? Cioè, è certo che le cose vadano così, che certa gente sparga agenti tumorali nell’aria, oppure stava semplicemente dando conto di una teoria senza avere un’opinione personale?”. “No, no, lui era assolutamente convinto di quel che diceva e ci invitava a scandalizzarci”. “I tuoi compagni come hanno reagito?” “Molti credono alle scie chimiche, ma erano soprattutto interessati a conoscere il funzionamento dei droni che vengono usati per mettere in circolazione queste schifezze”. Siamo stati in silenzio per un attimo. Io ho cercato di raccogliere i concetti in poche e calibrate parole, misurando la mia reazione: non volevo mancare di rispetto ad un insegnante mettendolo in ridicolo davanti ad un suo alunno. Ho sempre questa forma di rispetto per chi sta dietro una cattedra. “Vorrei dirti che non tutto quello che diciamo, ogni giorno, può essere dimostrato. A volte esprimiamo delle nostre impressioni, sensazioni e teorie che non sono verità assoluta, quindi usiamo la formula del dubbio. Però se una persona trasforma una sua teoria o convinzione in una regola scientifica, in una lezione, non va bene per nulla: vuole farti credere ad una cosa che neppure lui può sapere se è vera o no”.
Mi ha interrotto: “Tu non credi nelle scie chimiche?”
“Non è importante se io ci creda o no. Però io avrei chiesto al professore se era in grado di dimostrare, con prove inoppugnabili, quello che stava dicendo. Avrebbe dovuto portarvi documenti, immagini e testimonianze inconfutabili per uscire dall’opinione e passare alla certezza. Le vostre sono menti giovani e possono essere molto influenzate da certe informazioni infondate: è soprattutto una questione di metodo. Ti hanno spiegato il metodo scientifico? Se vuoi dimostrare una teoria esemplificandola con un esperimento, chiunque altro deve essere in condizione di ripetere l’esperimento”. A quel punto il mio giovane interlocutore ha cercato delle attenuanti, ma non per sé. “Io non vorrei che si dicesse male del professore, che è una brava persona e ci parla ogni giorno di argomenti molto interessanti. Io e i miei compagni lo stimiamo”.
Probabilmente aveva intuito che da questo racconto avrei tratto un articolo, sapendo che mi occupo di informazione. “Io non voglio trasformare le mie osservazioni in accuse verso il tuo professore. Non voglio processare lui, ma mi preoccupa il fatto che in una scuola pubblica si possa far credere a dei ragazzini che c’è gente pagata per mettere in giro delle sostanze che provocano il cancro. Non è sbagliato parlarne, è sbagliato spacciare per verità quel che non si può dimostrare”. Ed è esattamente per non trasformare la discussione in un processo che non farò nomi né luoghi. I genitori, tra l’altro, non intendono porre il problema sul contenuto di queste lezioni alla dirigenza scolastica: non vogliono danneggiare il figlio e non credono che la loro segnalazione verrebbe presa in considerazione. Però tutto quel che vi ho raccontato è accaduto veramente.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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