La Casa di Riposo una volta era chiamata “ricovero”, un termine triste, squallido, che evocava miseria, povertà e abbandono. Il ricovero, a Porto Torres, era vicino alla Basilica di San Gavino, c’erano le suore e c’erano diversi vecchi, per la maggior parte non portotorresi, tutti acciaccati, a volte sporchi e con abiti indossati in maniera approssimativa, con i calzoni ai polpacci, scarpe consumate all’inverosimile e giacche di almeno due taglie più grandi. Uno di questi vecchi passava tutti i giorni davanti a casa. Probabilmente da giovane aveva fatto il pastore o il contadino, parlava il “sardo” e chiedeva a tutti quelli che incontrava un fazzoletto: aveva le tasche della giacca logore e gonfie e ne spuntavano appunto fazzoletti di ogni colore, che di tanto in tanto estraeva due o tre alla volta per soffiarsi fragorosamente il naso spesso paonazzo per le fermate frequenti che faceva in una bettola di via Josto. Portava spesso sottobraccio un fascio di giornali stropicciati, per lo più vecchi numeri di Famiglia Cristiana che “vendeva” in cambio di pochi spiccioli. Una mattina lo incrociai mentre rientravo a casa, dopo aver accompagnato i bambini a scuola. Faceva freddo e il vecchio aveva ai piedi un paio di scarpe sfondate, bagnate per la pioggia che era caduta durante la notte ed era evidentemente infreddolito. Lo salutai come sempre e incrociai il suo sguardo quasi implorante: mi guardava e si guardava le scarpe, e mi riguardava con espressione interrogativa. A un tratto mi chiede: “A bi l’asa una pariga ‘e bottasa?” (spero di ricordare bene, non è il mio dialetto). “Che numero avete”, gli chiesi. “Barantunu”. Bruno calzava il trentanove, ma quell’uomo aveva bisogno urgente di un paio di scarpe e di un paio di calze. Un lampo improvviso e mi ricordai di una scatola che Bruno aveva messo da parte nello sgabuzzino, all’interno vi erano un paio di scarponi numero quarantuno appunto, che aveva portato a casa e non aveva mai messo, “forse perché erano enormi”, avevo sempre pensato. Feci accomodare il vecchio nell’androne, si sedette nelle scale e cominciò a togliersi le scarpe. La suola era completamente consumata, non aveva calze ma degli stracci luridi e bagnati che gli fasciavano i piedi intirizziti. Salii le scale di corsa, presi un paio di calze di lana e la scatola degli scarponi nuovi nuovi numero quarantuno. Sorrideva soddisfatto il vecchietto, mentre si asciugava tra le dita con i lembi più asciutti delle “pezze da piedi” di cui mio padre mi aveva parlato, quando mi raccontava della vita dei pastori del suo paese, Villanova Monteleone, e che anche lui aveva portato da ragazzino e durante la guerra. Era la prima ed unica volta che ne vedevo. Il vecchio indossò le calze e si infilò le scarpe, le allacciò; si mise in piedi, e dopo un paio di passi soddisfatto, battè più di volte le scarpe a terra sorridente: erano perfette! Per ringraziarmi mi regalò due copie di “Famiglia cristiana” di tre mesi prima….Ero felice per la buona azione e non vedevo l’ora che Bruno rientrasse per raccontargli che con quelle scarpe, che tanto lui non aveva mai usato, avevo fatto felice il “vecchio dei fazzoletti”. A dir la verità, quando Bruno rientrò e lo misi al corrente non fu molto soddisfatto. “Ma cosa hai fatto? Quelle erano scarpe antinfortunistiche, sono fatte di materiale speciale, ignifugo, hanno una particolare allacciatura e soprattutto hanno la punta d’acciaio, per quello è necessario che siano qualche numero più grande, perché non flettono e il piede può far male, e poi sono scarpe che mi passa la società quando vado sugli impianti per le verifiche del lavoro che programmiamo”. …. Insomma, avevo fatto danno! Ma ormai era fatto, ed ero contenta per il vecchio, almeno gli sarebbero durate un bel po’ di tempo. E tutti i giorni, quando passava il “vecchio dei fazzoletti” non mi chiedeva più niente, anzi a volte mi regalava uno dei suoi giornali…
Una sera dell’estate successiva, Bruno, che rientrava dal lavoro intorno alle quattro e mezza, tardava. Non ci feci caso, gli capitava spesso di trattenersi in ufficio oltre l’orario canonico, se aveva da fare, tanto non timbrava il cartellino… Rientrò verso le cinque e mezza con la sua solita cartella insieme ad una busta di carta, quella carta marroncina dove si mette il pane o la verdura. “Come mai?” chiesi. “Giù c’era un uomo che vendeva delle mele e ne ho comprato un po’.” “Ah? dico mentre vuoto la busta”. Sollevo lo sguardo un po’ arrabbiata e: “Ma queste mele sono?” Si trattava di quattro mele gialle dalla buccia arrugginita e tutta aggrinzita, mollicce …vecchie, quelle che i verdurai le mettono tra i rifiuti, le scartano dalla merce in vendita. “E quanto le hai pagate?” “Cinque euro. Quello avevo in tasca e quello gli ho dato.” “Cinque euro??? Ma sei diventato matto?” rispondo un po’ arrabbiata. “Ma no, era il vecchio dei fazzoletti, che mi ha fermato e mi ha chiesto se gli compravo delle mele, che erano belle e buone e mi ha detto di dargli quanto volevo. E io cinque euro avevo e cinque euro gli ho dato. Un po’ come hai fatto tu con le scarpe numero quarantuno, che aveva ai piedi, ancora nuove nuove”….
Nata quasi a metà del secolo scorso, ha dato un notevole impulso, giovanissima, all'incremento demografico, sfornando tre figli in due anni e mezzo. La maturità la raggiunge a trentasei anni (maturità scientifica, col massimo dei voti) e la laurea...dopo i sessanta e pure con la lode. Nonna duepuntozero di quattro nipotini che adora, ricambiata, coi quali non disdegna di giocare a...pallone, la sua grande passione, insieme al mare.
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