Che cos’è il calcio? Me lo chiedevo quando la partita (peraltro bruttina) tra Italia e Albania veniva sospesa per alcuni minuti a seguito di petardi gettati sul campo da persone considerate tifose della squadra albanese. Me lo sono chiesto, soprattutto sabato scorso, quando duecento ragazzotti cagliaritani sono saliti a Sassari solo per il gusto di distruggere qualcosa nascosti dietro lo stendardo della squadra del Cagliari. Il calcio è questo? È, purtroppo, anche questo. È – per ricordare mio zio tifosissimo romanista – il gol di Turone non convalidato e l’astio perenne nei confronti della Juve, i rigori non dati, l’arbitro che non fischia o fischia troppo. Il calcio è la metafora della vita. Almeno in Italia. È o dovrebbe essere un gioco di squadra. Soprattutto un gioco dove in palio c’è la vittoria e tutto finisce quando l’arbitro determina la fine della partita. Che molti telecronisti apostrofano come “fine delle ostilità”. Non mi è mai piaciuto vederla in questo modo e non ho mai guardato le partite da tifoso invasato. Ho sofferto per la mia squadra del cuore ma se gioca male lo ammetto sempre. È il primo punto fondamentale dello sport: la meritocrazia. Non si vince per furbizia ma perché si è bravi. Poi, è vero, a volte l’arbitro ha fischiato un attimo prima o un attimo dopo, a volte il pallone ha preso una traiettoria impossibile, a volte ce la cerchiamo o siamo distratti e a volte i più forti perdono con i più deboli. Perché i più deboli, quel giorno, sono stati più bravi o comunque più determinati. Ecco, fatta questa premessa che cos’è il calcio? È un gol ad effetto alla Del Piero ma è anche il rigore sbagliato da Baggio nella finale dei Mondiali americani, una finta di Pelè, la marcatura di Gentile a Zico, l’urlo di Tardelli, una rovesciata di Gigi Riva, la papera (una delle poche) di Buffon, i gol dell’Olanda a Dino Zoff nel 1978; Paolo Rossi del 1982 e il Napoli di Maradona, il Verona di Bagnoli, il Cagliari di Scopigno, La Lazio di Chinaglia, la Sampdoria di Vialli e Mancini ma anche la Juve, l’Inter, il Milan e il Benfica, Lionel Messi e Gullit. Ma non solo: anche tutti quei ragazzini che con quattro pietre e un pallone immaginano campi verdi e stadi felici. Questo è il calcio. E questo dovrebbe restare.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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