Ma siamo sicuri che sia una cosa buona e giusta inneggiare alle donne curde che imbracciano il fucile? Queste parole mi sono venute in mente aggiornandomi sullo scontro che oppone peshmerga curdi e arruolati dell’ISIS. Un pensiero d’impulso, dovuto probabilmente allo scarsissimo fascino che le armi hanno sempre avuto su di me, anche quando brandite da donne belle e sorridenti. Ma l’impulso è spesso causa di errore. E’ bene distinguere, forse. Perché queste donne, probabilmente, non hanno alternativa. Leggo, e sono proprio loro a parlare dell’impossibilità di una via diversa da quella delle armi. E io, dopotutto, non posso avere idea di cosa voglia dire trovarsi i fanatici del califfato di Abu Bakr al- Baghdadi fuori dal portone di casa. Contestualizzare e non generalizzare è forse la chiave per farmi fare pace con questo pensiero. Passione ed entusiasmo affiorano negli scritti sulle donne che impugnano fiere il kalashnikov nel Kurdistan iracheno. Passione, impulso, tutte cose che si scontrano con la ragione, ed ecco che in un quotidiano italiano scorgo un’associazione che mi impedisce di archiviare l’argomento. Le donne con la pistola sarebbero la via per la creazione di una nuova società, libera dai valori antiquati e patriarcali. Facendo un salto che copre la distanza equivalente tra Kobane e Roma, l’ode alle donne curde dovrebbe servire da lezione anche a quelle italiane e ai loro uomini maschilisti. Sono le donne che decidono di sparare senza chiedere il permesso agli uomini ad essere la breccia verso la porta dell’uguaglianza di genere. Mi stupisco che manchi un paragone tra le donne anti ISIS e quelle della resistenza italiana. L’immagine delle donne che vanno alla guerra in Medio Oriente è trasportata al di fuori dal suo contesto e usata come pretesto per restituire l’idea di una donna forte ed emancipata, anche in Occidente. Decontestualizzazione e null’altro, benché si sia di fronte al primo caso in cui l’esempio di forza al femminile segue la rotta Medio Oriente – Occidente e non l’opposto. Sorprende non poco quest’euforia scomposta per l’idea di una liberazione che passi dall’uso delle armi, simile a quella provata quando anche in Italia si è arrivati all’ingresso delle donne nell’esercito, nell’idea, comune a molti, che la conquista dell’emancipazione nel nostro paese potesse essere un’ azione agevole come la vestizione della divisa mimetica. Insieme alla perplessità, il dispiacere di notare che i temi di discussione attorno al pianeta “donne” si originino, sempre più spesso, in riferimento alla violenza, subita o perpetrata che sia, che si parli d’Italia o di Medio Oriente. Che sia quasi impossibile, per una donna, fare notizia per la sua normalità?
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