Il 5 luglio capita inevitabilmente in estate, tempo di mare e di vacanze.
Nel 1946 a Parigi viene presentato il bikini, ma io non ero ancora nata e il primo bikini l’ho indossato nei primi anni settanta, quando ero già mamma di tre figli.
Altro 5 luglio memorabile, da agenda, per me, è stato quello del 1962, un giovedì, una giornata calda come ogni 5 luglio, ma al mare, quell’anno ero andata poco…ancora.
Era l’anno dell’esame di terza media, un traguardo tra i più importanti per un’adolescente e soprattutto per un’ adolescente di famiglia modesta (non erano in tanti a proseguire gli studi oltre la quinta elementare, allora..) e quel giorno avrebbero messo i “quadri” con i risultati, che non ho mai capito perché li chiamino quadri.
Promossa! Con la media del sette e mezzo! Le mezze tasse, si diceva, che non era buccia di ciogga o, come dice il mio amico Eugenio, maison d’escargot!.
Una bella soddisfazione per babbo e mamma quella ragazzina (preddumasciu, mi!) descritta da tutti come intelligente, ma che “se si impegnasse di più” arriverebbe a guadagnarsi persino le tasse.
Si, vabbè, a me andava bene così, e babbo e mamma dovevano mantenere la promessa: dovevano regalarmi, per quella promozione, un paio di pinne che avevo visto da Baffigo, il negozio di caccia-pesca-sport aperto da poco in piazza, a fianco a Tronci, e io quando passavo davanti alla vetrina sbavavo.
Pinne Cressi sub, celesti, galleggianti, numero 35-36, costavano cinquecento lire, quasi come l’abbonamento del treno che dovevo fare per andare a scuola a Sassari due mesi dopo, che costava seicentocinquanta lire, una cifra!
Però me le avevano promesse e ogni promessa è un debito, si sa!
E quel 5 luglio, appena portati a casa i risultati…ajò a comprare le pinne e subito a Balai, tutta quanta, anche allora, ad inaugurarle!
E mica le mettevo in spiaggia, nooo!
Dalla rocca manna le buttavo in acqua, poi prendevo la rincorsa, un tuffo con “la pigiata”, e, ancora sott’acqua, le recuperavo e me le infilavo.
E poi via di nuovo sott’acqua, in apnea, a nuotare per lunghi tratti , a immergermi, a mostrare il pugno di sabbia raccolto dal fondo di cinque-sei metri, che se poco poco mi avesse vista mamma sarebbe svenuta non vedendomi riemergere per tutto quel tempo.
Tre giorni le ho usate quelle pinne, tre fottutissimi giorni, vissuti intensamente!
Al quarto giorno l’indisposizione mensile mi costringe a casa, cazz, una futta!!!
E cosa succede? che miei fratelli gemelli (dodici anni) se ne vanno al mare con le mie pinne e ritornano senza.
-E le pinne?
-Rubate!
-Come rubate? Ma voi dove eravate?
-Ce le ha rubate Giovanni O. e noi non abbiamo avuto il coraggio di affrontarlo, già lo sai che è più grande di noi e picchia umbè!
Io già lo sapevo che picchiava umbé, aveva la mia età (anzi ha la mia età) ma a me non mi aveva mai picchiato nessuno, mi sapevo difendere e se era il caso mi mettevo in mezzo a difendere gli amici, e le davo, ah se le davo!
Così, la sera stessa vado a cercare Giovanni O. che tanto anche lui scendeva in piazzetta a giocare.
E lo trovo, di fronte alla Consolata con un paio di suoi amici, mi metto di fronte e:
-Restituiscimi le pinne!
-Quali pinne?
-Quelle che hai rubato a miei fratelli!
Mi guarda con un sorriso beffardo e lo aggredisco a calci, ci accapigliamo, rotoliamo in terra e comincio a picchiare come una belva finché lui non riesce ad alzarsi e a scappare di corsa, mentre un uomo mi afferra per un braccio.
-Basta! – mi dice – e cosa t’ha fattu?
-Mi ha rubato le pinne.
-Lassaru a pisdhì, beddabè, lu sai cumenti so’ in chissa famiglia, tu no’ ti debi punì cun chissa jenti (lascialo perdere, bellabè, lo sai come sono in quella famiglia, tu non ti devi mettere con quella gente!).
Lo sapevo che non mi dovevo mettere, ma intanto una bella sussa gliel’avevo data.
Mi son messa a posto la maglietta e i pantaloncini e son rientrata a casa come se niente fosse. Nessuno si è accorto che mi ero azzuffata.
In estate dopo cena si usciva a giocare per strada, allora in pochi avevano la televisione. Intorno alle dieci si rincasava e a letto, dopo esserci lavati i piedi, che le strade non erano asfaltate e la polvere si attaccava fino alle ginocchia.
Non mi ero ancora messa sotto le lenzuola quando si sentì bussare. Il nostro portone aveva uno strano battente di ferro: una mano che teneva una palla dalle dimensioni di un uovo, che si faceva battere contro una borchia ugualmente di ferro e quando batteva faceva all’interno un rumore sordo.
Strano, a quell’ora, e babbo, preoccupato andò ad aprire.
Un uomo, la voce di un uomo incazzato che in dialetto continuava a ripetere:
– Si, la figliora! La figliora ha ischuttu a me’ figlioru. E’ turraddu a casa e pa’ di poggu no’ l’è giuntu un attaccu di cori! Acchì me’ figlioru è maraddu, a lu sa? (Si sua figlia! Sua figlia ha picchiato mio figlio. E’ tornato a casa che per poco non gli veniva un attacco di cuore! Perché mio figlio è malato lo sa?)
E babbo, visibilmente mortificato:
-Ma non è possibile, forse si sbaglia, mia figlia ha quattordici anni….è già una ragazza…non è possibile.
E l’altro:
-Puru me’ figlioru ha quattoldhizz’anni, e la figliora l’ha iscuttu a terra, l’ha fattu quasi dimaià e suffri di cori me’ figlioru (anche mio figlio ha quattordici anni e sua figlia lo ha steso, l’ha fatto quasi svenire e soffre di cuore, mio figlio).
A quel punto non ho resistito, sono uscita nel corridoio col pigiamino estivo (mutande e canottiera), mi sono avvicinata e:
-Se suo figlio soffre di cuore se lo tenga a casa invece di lasciarlo andare a rubare le cose degli altri, perché ha rubato le MIE pinne a miei fratelli!
Mio padre sbianca, mi prende per un braccio, mi strattona, mi da una sberla e mi spinge vero la camera da letto, poi si scusa con quel tipo arrogante, scuro in faccia che con l’aria ancora minacciosa va via senza neppure salutare urlando:
-Ringrazieggia chi no’ la dinunzieggiu, solu acchì vosthè è un signori (ringrazi che non la denuncio, solo perché lei è un signore).
Non avevo mai visto babbo così spaventato e poi così arrabbiato.
-Cosa ti è saltato in testa? – mi urla- Ma lo sai chi è quella famiglia? Cazzu diauru, ma come hai fatto a picchiare il figlio di quello lì che lo teme tutta Porto Torres?
Era la prima volta che sentivo babbo dire “cazzu diauru”!
Cazzu diauru! me l’ero proprio meritato, tanto più che quella famiglia, tuttora, è conosciuta come una famiglia di picchiatori.
E ancora cazzu diauru! perché per avere un altro paio di pinne ho dovuto aspettare quattro anni, quando un giovane si innamorò di me e non poteva non regalarmi, nell’estate del ’66, un bel paio di Cressi sub rondine nere non galleggianti (numero 37/38), una figata da professionista! (oh, l’anno dopo l’ho anche sposato, quel giovane!)
Nata quasi a metà del secolo scorso, ha dato un notevole impulso, giovanissima, all'incremento demografico, sfornando tre figli in due anni e mezzo. La maturità la raggiunge a trentasei anni (maturità scientifica, col massimo dei voti) e la laurea...dopo i sessanta e pure con la lode. Nonna duepuntozero di quattro nipotini che adora, ricambiata, coi quali non disdegna di giocare a...pallone, la sua grande passione, insieme al mare.
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