Lo scorso natale ho ricevuto una cartolina d’auguri. Erano scomparse da qualche anno, almeno dalla mia cassetta delle lettere. Non scriviamo più. Fino a qualche anno fa si mandavano sms di auguri un po’ a tutti i contatti telefonici. Poi è arrivato WhatsApp che ha aggiunto foto e video e così oltre a non parlarci non dedichiamo neppure un attimo alla scrittura. La cartolina aveva come foto un panorama innevato con delle mucche e perciò ho pensato subito ad un paesaggio tipicamente natalizio. Giungeva dalla Val D’Aosta e sul retro poche parole: “la ricordo sempre fin dai tempi dell’Asinara. Grazie di tutto, seguito dal cognome che, subito, mi ha riportato agli anni ottanta, quando le cartoline si scrivevano e quando le lettere erano importanti. Il carcere è, probabilmente, l’unico luogo dove le parole hanno, oltre che un peso specifico, anche uno fisico perché negli istituti penitenziari non c’è una connessione internet, non si utilizzano i telefoni cellulari e le loro modernissime applicazioni e tutto è relegato ad una semplice telefonata di dieci minuti la settimana e all’invio di lettere e cartoline. L’ex detenuto valdostano mi ha rammentato una sorta di gioco inventato all’Asinara, quando sull’isola c’era solo il carcere. Avevamo bonariamente obbligato tutti i detenuti che si recavano in permesso “in continente” ad inviare una cartolina del luogo dove si trovavano e quelle cartoline sarebbero state affisse nella grande bacheca dell’ufficio educatori, allora sistemato nell’ex archivio di Cala d’Oliva. Tutti i detenuti stettero al gioco e in poco tempo la bacheca divenne una grande carta geografica di molti paesaggi italici: Sicilia, Campania, Puglia, Basilicata ma anche Lazio, Umbria, Piemonte e, ad un certo punto comparvero le mucche in alpeggio della Val d’Aosta. Il detenuto che lo scorso anno mi ha rinnovato gli auguri era, appunto, valdostano. Aveva commesso un omicidio d’impeto per una questione di pascolo (accadono anche da altre parti queste liti) e aveva chiesto esplicitamente di essere trasferito all’Asinara dove, fin da subito, cominciò a lavorare come pastore nella diramazione di Santa Maria. La cosa curiosa è che questo ragazzo valdostano a furia di stare con dei detenuti sardi negli anni cominciò a parlare con un accento gutturale, tipico delle zone interne della nostra isola e imparò anche molte frasi in sardo e quando scoprii che intendeva andare in Val d’Aosta in permesso premio ero fermamente convinto che i suoi genitori fossero emigrati dalla Sardegna al Nord per chissà quale lavoro. Invece il nostro ragazzo era di generazioni valdostano e parlava anche molto bene il francese, lingua che, in realtà, conosceva meglio dell’italiano. Cominciò ad andare in permesso ed inviare la famosa cartolina. Le sue erano soltanto fotografie di mucche in prati verdi e bellissimi con dietro delle montagne innevate. Gli chiesi di inviarci altri panorami ma lui, sornione, ribatteva che l’obbligo era inviare la cartolina e il soggetto era libero di sceglierlo il detenuto. Aveva ragione ma quella cartolina divenne una sorta di leggenda nella piccola isola dell’Asinara. Tutti sapevano chi era il mittente e chi il destinatario. Alla fine degli anni ottanta ottenne la semilibertà per lavorare come pastore in un’azienda vicinissimo ad Aosta. Era felice come noi tutti. Ci salutammo e lui ci ringraziò con un dolcissimo sorriso. Non ci saremmo più visti e neppure più scritti. Invece continuò ad inviare cartoline con mucche al pascolo per almeno dieci anni: una ogni sei mesi. Il contenuto era sempre quello: vi ringrazio di tutto, non vi scorderò mai, nome e cognome. Poi, quelle cartoline smisero di arrivare e compresi che anche l’ex detenuto probabilmente era stato conquistato dal telefono cellulare e dagli sms. Rivedere dopo anni una cartolina con i suoi auguri mi ha fatto sorridere ma anche riflettere: c’è un mondo, il carcere, dove ancora tutto è legato alla risposta di qualcuno e quella risposta arriva solo per lettera o cartolina. Il carcere può essere un luogo di riscatto. Era quello che vedeva con grande anticipo su molti il grandissimo Cesare Beccaria. L’autore de “i delitti e delle pene” nasceva a Milano il 15 marzo del 1738. Sono trascorsi esattamente 284 anni e le sue intuizioni sono ancora attuali. Abbiamo bisogno di Beccaria, abbiamo bisogno di umanità, abbiamo bisogno di stare ad ascoltare gli ultimi.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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