Sono cresciuto con il detersivo Tide, quello che prometteva di lavare più bianco di tutti gli altri. Le donne (ahi, le donne e solo le donne) avrebbero notato la differenza. Io, di mio, tifavo per il Tide solo per una questione di fondamentale importanza: all’interno del pacco, nascosto tra la polvere bianca immacolata, c’era la sorpresa! Erano dei pupazzetti da collezionare con i personaggi della Walt Disney (Paperino, Topolino, i sette nani, Pippo) con un unico colore (Paperino blu, Pippo celeste, i nani rossi, verdi e gialli). Il problema, il mio vero e unico problema a quei tempi, era la durata del detersivo e a casa mia (essendo solo in tre) quella benedetta scatola durava troppo rispetto, per esempio, alla famiglia del mio amico Gigi o in quella di Antonello dove vivevano in dieci. Dopo alcuni mesi il mio bottino era miserevole: tre pupazzetti contro i sette di Gigi e i dodici di Antonello. Dovevo escogitare qualcosa. Fu così che ebbi la brillante idea (in caso di detersivo Tide il termine è azzeccato) di aggiungere alla vaschetta della lavatrice alcune cucchiate in più (ricordo che mia madre utilizzava un cucchiaio di plastica color giallo tenue) sperando che il contenuto diminuisse più velocemente. Lo controllavo tutti i giorni e ritenevo di aver avuto l’idea giusta. Fui scoperto un pomeriggio da mia madre con il cucchiaio nel sacco e dovetti confessare. Inizialmente provai a ribattere prendendo contro la pubblicità: ne metti troppo poco e non funziona, volevo aiutarti. Risultato: punizione e scatola di Tide chiusa a chiave nell’armadio. Il detersivo Tide fece la sua comparsa per la prima volta in America il 12 dicembre 1946 per raggiungere le nostre case agli inizi degli anni sessanta. Fu una vera e propria rivoluzione. Poi tutti cominciarono ad infilare nei prodotti vari gadget e mi resi conto (me ne rendo conto solo adesso, in realtà) cosa significa quando di dicono: “colti con le dita nella marmellata”. Nel mio caso era il bianchissimo Tide. Le mani nel detersivo: almeno erano pulite!
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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