M’incuriosisce sempre (ma non mi stupisce) questo occuparsi del carcere solo quando lo provi sulla tua pelle. E’ sempre accaduto e sempre – credo – accadrà. Il buon Denis Verdini, il guascone della seconda repubblica, quello che teneva riunioni con tutto e tutti nei corridori del Parlamento, è stato condannato a oltre sei anni di carcere e vive in una cella singola nel carcere di Rebibbia. Quando l’Onorevole Renata Polverini lo ha incontrato insieme ad altri deputati (tra cui l’attuale genero Matteo Salvini) ha subito detto a voce alta e chiara: “Le condizioni delle carceri italiane sono incivili!. Noi del centrodestra abbiamo sbagliato a non affrontare la questione”. (l’intero articolo è pubblicato su “la repubblica” a firma di Concetto Lo Vecchio, 29 dicembre 2020). Le carceri sono un luogo incivile per antonomasia e sono un luogo di sofferenza. Verdini ne ha fatto conoscenza a sue spese, “sulla sua pelle”. Quando però rappresentava il governo di centrodestra non mosse un semplice dito per comprendere quello strano pianeta che, a pensarci bene, è l’esatto risultato dell’incuranza, della strafottenza, della poca voglia di comprendere di alcuni apparati governativi legati a certi atteggiamenti “machisti” di una destra incurante delle sofferenze e non interessata al recupero delle persone: “buttiamo le chiavi, devono pagare, la certezza della pena”. Queste granitiche convinzioni si sgretolano però davanti al tocco magico della realtà, quando sperimenti a tue spese il contatto con il carcere, con le costrizioni, la solitudine, il disprezzo e il dileggio di tutti, dei tuoi vecchi amici che ti abbandonano e fanno spallucce quando dici che occorre occuparsi del carcere. Ovviamente non lo faranno e continueranno a dire che “buttare la chiave” è l’unica soluzione per gli avanzi di galera. Salvo poi piagnucolare quando dentro quella cella ci finiscono loro. Il carcere è terribile e concepito in questo modo è oltremodo inutile. Per tutti. Verdini compreso.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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