La scrittura è “un’esperienza ad alto coinvolgimento fisico. A differenza di quel che si può credere, scrivere – e riscrivere – è anche fatica. Capisco di aver scritto l’ultima frase di un libro, o meglio della prima stesura, quando mi vengono le lacrime agli occhi”. Ritorna così Enrico Brizzi, dopo il lungo lavoro che lo ha portato alla pubblicazione del suo ultimo romanzo, Il matrimonio di mio fratello, edito da Mondadori. Due fratelli, Max e Teo, due idee molto diverse della vita e una misteriosa scomparsa che serve anche a raccontare un pezzo di storia d’Italia. Se l’Alex del romanzo dell’indimenticabile esordio- Jack Frusciante è uscito dal gruppo, anno 1994- sfrecciava in bicicletta per la sua Bologna cantando Ramones e Red Hot Chili Peppers ed Ermanno Claypool di Bastogne attraversava Nizza in motorino con i suoi cattivissimi amici, il loro creatore e autore di una decina di opere tra romanzi e racconti è anche uno Psicoatleta. Il mezzo di trasporto sono le gambe, con le quali ha percorso con amici l’Italia da Nord a Sud, un pezzo d’Europa per poi raggiungere anche Gerusalemme. Di camminate e scrittura Enrico parla a Sardegnablogger. Con un pensiero da Psicoatleta rivolto anche alla Sardegna.
La tua nuova opera ti ha impegnato due anni e hai dichiarato di aver scritto e riscritto, tagliando centinaia di pagine. Come descriveresti l’esperienza della scrittura e quella della ri-scrittura?
Si tratta di un’esperienza ad alto coinvolgimento fisico. A differenza di quel che si può credere, scrivere – e riscrivere – è anche fatica, o almeno lo è farlo dieci o dodici ore al giorno. Capisco di aver scritto l’ultima frase di un libro, o meglio della prima stesura, quando mi vengono le lacrime agli occhi. “Tagliare”, invece, è semplice. Doloroso ma semplice. Basta considerarsi dei giardinieri, che potano certi rami, per quanto bellissimi, per il bene della pianta in sé. Nel caso de “Il matrimonio di mio fratello” ho tagliato oltre 400 pagine dalle 900 iniziali.La terza e ultima fase, quella dell’editing finale, arriva quando ormai sei così “dentro” al testo da aver perso la lucidità. Serve uno sguardo esterno, e ami chi ti aiuta come si può amare chi ti porta da bere nel deserto.
Sono riuscita nell’impresa di non fare la prima domanda su Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Ma è difficile proseguire senza nominarlo. Sei sempre associato a quel romanzo e ad Alex, il protagonista.Preferiresti essere ricordato, ogni tanto, per il “cattivo” Ermanno Claypool di Bastogne piuttosto che per Alex?
Francamente non m’importa essere ricordato per un personaggio o per l’altro. È una specie di giochetto mediatico, quello di essere associati al proprio titolo più celebre, e lo accetto per quel che è. L’essenziale, per me, è continuare a raccontare storie. Se per farlo devo essere “quello di Jack Frusciante” va benissimo così, basta che nessuno mi chieda di riscrivere quel libro (o un altro che ho già scritto):bisogna sempre navigare verso il largo.
A giudicare dai tuoi scritti e anche dalla tua attività sui social tra le tue passioni sembra primeggiare lo sport; non mi è sfuggito il post su Aru vincitore della Vuelta. Le passioni di Enrico Brizzi padre quarantenne sono le stesse di quindici, venti anni fa?
Non tutte. Fra quelle di oggi, infatti, non ci sono né i rave party né la violenza da stadio.
Ti ho posto questa domanda anche perché quando io penso a Enrico Brizzi mi viene in mente quasi subito la musica. Che rapporto hai oggi con il rock che tanto ha segnato certe tue opere, penso ancora a Jack, Bastogne e a L’altro nome del rock …
Ho un ottimo rapporto col rock. Anche sabato sera ero in un locale bolognese di nome Locomotiv – lo stesso dove ho festeggiato i vent’anni di carriera nel settembre 2014 – e ho assistito, o meglio partecipato, al concerto del mio gruppo preferito: The Computers.
Con i tuoi amici della Psicoatletica hai attraversato a piedi l’Italia. Che paese ti sei trovato davanti? Camminare per chilometri e chilometri ti serve per conoscere o più per fuggire da qualcosa?
Camminare un giorno dopo l’altro, allo stesso ritmo degli uomini di mille o duemila anni fa, mi serve tanto a spezzare la schiavitù della reperibilità permanente rappresentata dalla combinazione computer-smartphone, quanto a conoscere meglio le persone e i territori che mi circondano. E poi, camminare – da Canterbury a Roma, dall’Alto Adige alla Sicilia, o anche solo per un fine settimana – ha un pregio fantastico: aiuta a capire ciò che ti serve davvero e quel che ti puoi lasciare indietro. A decidere da soli e a giocarsela nelle difficoltà. In un certo senso è un gioco, e in un altro, una splendida metafora. Credo che dovrebbe essere proibito ai ragazzi conseguire l’esame di maturità se non hanno affrontato almeno una settimana di viaggio a piedi, e dovrebbero farlo più spesso anche gli adulti, ciascuno al proprio ritmo.
Hai affermato che camminare serve a spezzare una certa monotonia del tuo lavoro, che dall’esterno appare come il più bello del mondo… c’è un’affinità tra lo scrivere e il camminare?
A mio modo di vedere, più d’una. La più evidente è che praticando entrambe la attività impari a coltivare tenacia e pazienza. La seconda è che tanto nello scrivere un romanzo quanto nell’organizzare un viaggio a piedi ci si trova continuamente di fronte a bivi: sta a te scegliere quale strada prendere.Da ultimo, nessuna delle due è un’attività per superbi: scrivendo ti confronti con i maestri, camminando ricalchi le orme degli antichi. In entrambi i casi, puoi sentirti uomo fino in fondo, ma non certo un super-uomo.
Camminando camminando sei arrivato a Gerusalemme, città santa di un Medio Oriente nel caos. Cosa ti ha lasciato una città così speciale e che idea hai di quello che accade in terra di Palestina?
Ho toccato con mano un luogo dove ogni pietra è sacra, e contesa dalla notte dei tempi. Impossibile non percepire la tragedia in corso, così come il fatto che ogni parte ha le proprie ragioni. Di fatto, gli unici a subire la situazione sono quelli che vorrebbero vivere in pace.
Sai che alcuni componenti della redazione di Sardegnablogger attraversano annualmente la Sardegna in bicicletta? Sei invitato, e chissà che non si organizzi una psico camminata tutta sarda, un giorno…
Complimenti per l’iniziativa. Ho grande rispetto per chi prova a conoscere il proprio territorio senza far uso di motori, e la Sardegna è una terra davvero speciale. Contando che, a oggi, è l’unica regione italiana che non ho ancora traversato a piedi, credo che sarà una delle mie prossime mete.
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